Dobbiamo stare… vicini vicini!

«Noi Figlie dell’Oratorio, secondo il carisma originario dell’Istituto, siamo dedite alla promozione umana e cristiana della gioventù femminile, specialmente la più povera e bisognosa» (Cost. 58).

In questo tempo in cui il Sinodo sulla sinodalità è ancora in corso e in cui si è preso coscienza che la Chiesa è chiamata a una conversione sul suo modo di essere nel mondo, vogliamo anche noi interrogarci su come vivere la sinodalità con i giovani di oggi, primi destinatari della nostra missione.

Il contesto attuale, ben diverso da quello in cui l’Istituto ha mosso i suoi primi passi, è segnato da una forte secolarizzazione e da un robusto individualismo, che inevitabilmente incidono sul modo di intendere e vivere la fede, che tra i giovani sembra essere sempre meno presente e faticosa. È un dato con cui dobbiamo misurarci quando entriamo in rapporto con loro, non possiamo ignorarlo. Le risposte ecclesiali vanno verso due tendenze opposte: una in cui le comunità cristiane (anche quelle religiose?) promuovono una forte affermazione della propria identità, col rischio di irrigidirsi e isolarsi. L’altra connette la fede con i tratti tipici di questa epoca, col rischio opposto di accomodarsi allo spirito del tempo e di ridurre il «teologale» al «sociale». Sono due inclinazioni che portano a priorità diverse e a strategie pastorali differenti, con cui la vita consacrata – e noi all’interno di essa! – deve confrontarsi e poter così fare scelte più aderenti al Vangelo e a uno stile sinodale.

Nell’interrogarci su come camminare sinodalmente con le giovani generazioni, dobbiamo tenere presente la concretezza del mondo giovanile, che non può essere descritto in modo univoco e omologante. Il pluralismo tocca anche loro, che provengono da diverse etnie, classi sociali, appartenenze religiose e culture. I giovani non sono uguali e questo ci chiede di abbandonare uno sguardo da lontano su di loro e impegnarci invece per generare una conoscenza empatica e simpatica, ci chiede di smettere di parlare dei giovani e di parlare con i giovani, avvicinandoci a loro, riducendo le distanze, mettendoci in ascolto.

Essere Chiesa che cammina insieme esige la disponibilità a percorrere un tratto di strada insieme ai giovani, stabilendo con loro una relazione significativa. Come a Filippo negli Atti degli Apostoli, anche a noi è chiesto di metterci in cammino su una via deserta e di avvicinarci al carro su cui viaggiano le persone oggi. Persone che, come abbiamo detto sopra, quasi mai hanno un orizzonte di fede e un’esperienza viva dell’incontro con il Signore Gesù. Questo scuote le nostre certezze, mette alla prova la qualità della nostra fede e anche il nostro stile di vita casto, povero e obbediente. Spesso le ragazze e i ragazzi di oggi sentono la vita consacrata come irrilevante e improponibile, non sono più attratti dalle nostre opere, non ne vedono il senso. Tutto questo potrebbe infastidirci e indurci ad allontanarci, lasciando che ognuno prosegua per la sua strada. La conversione sinodale – e prima ancora il Vangelo stesso – non ce lo permettono e ci costringono invece a cercare il contatto diretto proprio con loro, perché solo con questa modalità la vita consacrata potrà ancora essere segno dell’amore di Dio nel mondo. Senza incontro e senza prossimità rimarrebbe un segno… insignificante.

Rispondi