Accumuli

Dal 4 al 6 aprile u.sc. le Superiore generali degli Istituti religiosi aderenti all’USMI (Unione Superiore Maggiori d’Italia) Nazionale hanno vissuto la loro 71ma Assemblea Nazionale Generale. Riportando la pagina di FB dell’Istituto il link della prima giornata di lavori, si poteva leggere nella didascalia di presentazione una domanda che a nostro parere val la pena non lasciare cadere e che merita, se non una risposta, almeno un tentativo di riflessione: «Oggi la vita consacrata, come è capace di reinventarsi?»

La domanda parte dal presupposto che il cambiamento è necessario per la vita religiosa. Non ci si chiede se dobbiamo reinventarci oppure no, questo forse lo abbiamo capito. Quel che fa problema è il come farlo, con quali energie, verso quali direzioni. I segni dei tempi che ci dicono che non possiamo andare avanti come prima sono molti e non sono solo il nostro invecchiamento, la riduzione numerica, la necessaria chiusura di case e opere.

La vita fuori dai nostri circuiti è in continuo cambiamento. La tecnologia ha modificato lo stile delle relazioni, ha accelerato molti processi; il concetto di famiglia è in evoluzione, molti modelli una volta impensabili stanno diventando ordinari; la società in cui viviamo è sempre più fluida, segnata dal pluralismo, dalla mancanza di stabilità, dalla fatica delle strutture storiche (tra cui la chiesa) di reggere il confronto con nuovi paradigmi, nuove mentalità e approcci alla vita collettiva.

In tutto questo, è inevitabile anche per la vita religiosa reinventarsi.

Ma da dove partire, su cosa appoggiarsi in questo tempo di trasformazione, che ci fa percepire il futuro come qualcosa di incerto e faticoso?

Forse occorre proprio non partire dal futuro, ma dal presente. Preoccuparsi troppo del domani non ci fa vivere l’oggi e questo significa morire. La vita religiosa viene da un passato che le aveva permesso di accumulare molte sicurezze e certezze, non solo materiali o economiche. Eravamo certe di quello che facevamo, delle nostre opere e della nostra pastorale. Eravamo sicure della nostra fede, forti della nostra appartenenza alla chiesa, delle nostre strutture fisiche e mentali, dei nostri ruoli, ma questo atteggiamento troppo sicuro oggi non tiene più e si sta rivelando un fardello che appesantisce e toglie agilità di movimento e di pensiero.

Può darsi che il nostro reinventarci debba iniziare dal prendere coscienza che non possiamo vivere una relazione con la vita fondata sull’accumulo e sulla sicurezza. C’è da recuperare uno stile amante, che non si inquieti per il domani e che abbia a cuore il presente, che lo ami e lo percepisca prezioso. E occorre anche cambiare lo sguardo sul presente: non porci come quelle che sanno già tutto, sempre sicure di essere nel giusto, chiuse nelle nostre certezze, ma guardare a questo nostro oggi recuperando il gusto della ricerca, del sano dubbio sulle cose, del far nascere qualcosa di nuovo senza dover perpetuamente ripetere ciò che è stato, avendo il coraggio di riposizionarci in zone periferiche della chiesa e del mondo, lontane dal potere e smettendo di credere che la vita ci verrà accumulando cose, idee o pratiche che ci rassicurano. La logica dell’accumulo è perversa e velenosa, non solo perché è causa di povertà e ingiustizie economiche e sociali, ma anche perché impedisce la rinascita e spegne la fiducia nella provvidenza, inganna e fa illudere di essere al sicuro, garantiti dai propri accumuli interiori ed esteriori.

L’abbandono di questa logica potrebbe essere una delle risposte alla domanda iniziale. Per reinventarsi occorre sicuramente alleggerirsi e avere il coraggio di buttare via ciò che fa da zavorra, prima di tutto nella mente e nel cuore.

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