La crisi è opportunità (Convegno FdO – 1)

L’11 febbraio u.s. si è svolto – in presenza e via zoom – il convegno formativo dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio, in cui padre Marco Grega – Guanelliano – ci ha aiutato a riflettere su un tema delicato e pungente, che non possiamo chiudere negli angusti spazi di una parentesi: «La vita religiosa nella chiesa e nella società odierna: punti di forza, criticità e prospettive». Vogliamo offrire attraverso il Blog qualche spunto di approfondimento, per alimentare il confronto e tenere viva la fiamma accesa dalle parole della sua relazione.

L’esordio è una citazione di Papa Francesco: «La realtà è sovrana. Piaccia o non piaccia, ma è sovrana. E io devo dialogare con la realtà». Prosegue poi con un’analisi di alcuni dati sulla vita consacrata, che delineano un contesto molto cambiato rispetto al passato, anche recente. Il nostro è un tempo di crisi, di passaggio, di cambiamento: dobbiamo fare i conti con l’invecchiamento, l’irrilevanza sociologica e il ridimensionamento delle nostre opere, l’impraticabilità di certi schemi e impostazioni di vita, le chiusure e le restrizioni geografiche che diventano anche mentali. Si sa, la crisi fa sempre paura, spiazza, fa venire meno certezze che sembravano incrollabili. Ma la realtà è sovrana e dunque va accolta e ascoltata. Non si può combattere contro di lei, chiudersi in una torre e far finta che nulla sia cambiato. «Non possiamo – prosegue Grega – non “vedere” i mutamenti che stiamo vivendo con sano realismo, ma con fede dobbiamo intenderli e viverli non come una lenta e inesorabile agonia, ma come un processo di purificazione che ci raffina, un’occasione per recuperare la nostra più profonda identità».

La questione cruciale diventa allora il capire come stare dentro questa realtà che sentiamo ostile e a volte anche nemica, questa realtà che spesso non ci piace, ma che resta sovrana. Innanzitutto è necessario crescere nella consapevolezza che «è un luogo teologico, un luogo in cui Dio si rivela». Dio si sta manifestando a noi attraverso tutte quelle difficoltà che come vita consacrata, come Istituto e come singole suore stiamo vivendo. Questo ci permette di cambiare lo sguardo sulle cose che ci tolgono sicurezza e di non sentirle come sciagure o incidenti di percorso a cui porre rimedio arroccandosi in difesa. «Può risultare difficile misurarci con questa realtà ma dobbiamo accostarla con la logica dell’Incarnazione che ci fa non solo accettare (o subire), ma assumere ed amare questo nostro tempo e questo nostro contesto, con il carico di domande e di sfide che porta con sé».

Una provocazione, forse balorda: da poco è finito Sanremo, che ci ha offerto uno spaccato della realtà sociale e culturale dell’Italia di oggi. Rosa Chemical, Ferragnez & C. possono piacere o (più facilmente, nei nostri ambienti) non piacere. Ma come «incarnarsi» in questa realtà? Come riconoscerla luogo teologico? Come discernere che Dio si sta rivelando anche attraverso questi personaggi che si esprimono con modalità discutibili? Come porci evangelicamente in atteggiamento di dialogo? Le domande restano aperte e non è questo il luogo per dare risposte. Certamente, quello che possiamo fare è coltivare «la disponibilità a cambiare, esercitare un atteggiamento mentale e spirituale di tipo esodale. Si tratta di caratteristiche mentali e spirituali che familiarizzano con termini quali uscita, passaggio, cambiamento, e non si arroccano attorno ad altri quali conservazione, mantenimento, stasi. Si tratta di atteggiamenti mentali e spirituali che non fanno sentire l’incertezza del domani e di nuove possibili forme e scenari di vita come un’insicurezza che frena e consiglia il mantenimento dell’esistente, ma come la strada normale che occorre percorrere per approdare alla terra dei padri».  

Rispondi

  1. “Star dentro la realtà”, non come prigioniera, ma come cittadina.
    La “realtà” quotidiana era l’habitat in cui hanno preso avvio le prime comunità dell’Istituto: nulla le distingueva vistosamente dalla gente comune. Erano persone “normali”. Quando mi sento chiamare “signora”, non lo percepisco come un declassamento, ma come una provocazione ad essere “religiosa” nel cuore, cioè di fatto e non solo perchè l’abito mi qualifica.