Cosa è, o chi è, la pastorale?

La Chiesa vive di pastorale, ne ha fatto la sua ossatura; tutta la sua attività, pervasiva e capillare, è in ordine alla pastorale: non c’è ambito o aspetto della vita a cui non sia intestato un ufficio di pastorale: familiare, giovanile, sociale e del lavoro, della sanità, scolastica, del turismo, dello sport e del tempo libero… Ma che cos’è questa pastorale? Di cosa si tratta? Come mai è così importante?

L’udienza del papa di mercoledì 18 gennaio u.s. accende una luce e ci rimanda alla sua origine: la forma di vita di Gesù. «Se vogliamo rappresentare con un’immagine il suo stile, non abbiamo difficoltà a trovarla: lui stesso ce la offre, parlando di sé come del buon Pastore, colui che «dà la propria vita per le pecore». Fare il pastore non era solo un lavoro, che richiedeva del tempo e molto impegno; era un vero e proprio modo di vivere: ventiquattrore al giorno, vivendo con il gregge, accompagnandolo al pascolo, dormendo tra le pecore, prendendosi cura di quelle più deboli. Gesù non fa qualcosa per noi, ma dà tutto. Il suo è un cuore pastorale (cfr Ez 34,15)». 

Un pericolo a cui siamo esposti è quello di rinchiudere la pastorale dentro gli uffici, di ridurla a programmazione di proposte e di eventi, ma di lasciarla fuori dalla vita ordinaria. Gesù condivideva con la gente gli spazi della quotidianità; per incontrarlo non bisognava prendere un appuntamento, cercandolo in luoghi appositamente dedicati all’annuncio. Lo trovavi per strada, lungo la spiaggia del lago, su una barca o nelle case dei più disgraziati, ai banchetti con ricchi e poveri, in sinagoga di sabato, sempre pronto all’ascolto delle peripezie dei più sfortunati e al confronto aperto con chi non la pensava come lui, anche di notte. Era raggiungibile e vicino, «sempre in relazione, in uscita, mai isolato».

Sarebbe fuorviante pensare che il suo cuore pastorale abbia iniziato a pulsare solo negli ultimi anni dedicati apertamente all’annuncio del Regno di Dio: al contrario, l’inizio della sua (breve) attività pubblica è in totale continuità con i lunghi anni trascorsi a Nazareth e ne prosegue lo stile: «Non fa un grande prodigio, non lancia un messaggio ad effetto, ma si mischia con la gente che andava a farsi battezzare da Giovanni. Così ci offre la chiave del suo agire nel mondo: farsi solidale con noi senza distanze, nella condivisione totale della vita». 

La sua dedizione non aveva come obiettivo la ricerca di nuovi sostenitori della sua causa, non impiegava le sue energie per lasciarci in eredità una struttura che noi avremmo dovuto mantenere in piedi nei secoli a venire. Gesù si è speso amando chiunque ha incontrato, ha vissuto i suoi giorni lasciandosi coinvolgere dalle storie delle donne e degli uomini con cui si è imbattuto, senza mai sottrarsi o dire «”Ma è un problema suo, che si arrangi…”. Gesù mai ha detto questo, è andato sempre incontro a tutti gli emarginati, ai peccatori».

Ecco allora «spiegata» la pastorale: far proprio lo stile di vita di Gesù, il pastore buono che conosce l’odore delle pecore. «Gesù, ci chiede di avvicinarsi sempre, con il cuore aperto, a tutti, perché Lui è così. Non si tratta di fare proselitismo perché gli altri siano “dei nostri”, no, questo non è cristiano: si tratta di amare perché siano figli felici di Dio. Chiediamo nella preghiera la grazia di un cuore pastorale, aperto, che si pone vicino a tutti, per portare il messaggio del Signore. Perché, la nostra vita senza questo amore che soffre e rischia, non va, rischiamo di pascere solo noi stessi».

Rispondi

  1. Guardando a questo stile pastorale di Gesù, sarebbe interessante recuperare una delle intuizioni più profetiche di San Vincenzo agli albori dell’Istituto, quella dell’abito. Come diceva Bellò, “dietro la questione dell’abito, sta una questione di stile (pastorale!): uno stare insieme senza divisa, con profondo senso del servizio alla pari”. Gesù non aveva nessun abito religioso…
    C’è di che interrogarsi, non dando per scontato che non siamo chiamate a scelte audaci…