Il catino dell’Ultima Cena

«Se dovessi scegliere una reliquia dell’Ultima cena,

prenderei proprio quel catino colmo d’acqua sporca»

(Madeleine Delbrêl).

Sul tema della «lavanda dei piedi», tema legato al Giovedì Santo, è possibile trovare diverse rappresentazioni artistiche che possono venirci in aiuto per scoprire il significato teologico di questo episodio riportato dai Vangeli.

In particolare, l’artista e sacerdote tedesco Sieger Köder «rivela» la profondità del messaggio attraverso una metafora. In questo dipinto ferma l’immagine sulla scena che si presenta dopo il dialogo avvenuto tra Gesù servizievole e Pietro reticente.

Ora Pietro ha già immerso i propri piedi nel catino e il volto di Gesù è visibile riflesso nell’acqua:  piedi e volto mescolati in un gioco di trasparenze.

Fragilità e povertà, di Pietro, e dopo di lui di chiunque, attirano attenzione e tenerezza perché in esse è presente Gesù: «Tutto quello che avete fatto a uno di questi più piccoli, lo ritengo fatto a me…».

La lavanda dei piedi ci consegna, allora come una eredità, la Sua presenza là dove mai penseremmo di trovarla, «nell’acqua sporca di un catino». L’impegno di Pietro, e nostro dopo di lui, da quel momento, sarà quello di ripetere gli stessi gesti di Gesù, verso ogni fratello, verso il corpo di Cristo, il suo corpo ecclesiale, non per generosa iniziativa personale ma perché «Vi ho infatti dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,16), esattamente come aveva detto: «Fate questo in memoria di me!» (Lc 22,19).

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