Beati coloro che resistono

«Beato colui che sa resistere» proclamava don Giovanni Barbareschi, che da giovane prete, ai tempi della seconda guerra mondiale, non abbandonò la sua appartenenza allo scoutismo nonostante la soppressione dell’associazionismo da parte del regime fascista e che assieme ad altri scout mise a rischio la sua vita per salvare quante più persone ebree dalla deportazione.

Ai tempi di Gesù furono le donne a resistere. In quel dramma che travolse gli apostoli quando tradirono e abbandonarono Gesù, quando fu arrestato, giudicato ingiustamente e ucciso, furono le sue discepole – come ci dice la liturgia di oggi – a non fuggire, a sfidare il buio della notte per recarsi alla tomba, a non arrendersi alla rassegnazione e all’amarezza della delusione. Sono ancora loro a non spegnere il loro sguardo contro il muro della morte e che dopo averlo incontrato corrono – limpide e dritte – a dare ai discepoli l’annuncio inatteso e spiazzante di andare in Galilea, dove potranno vedere di nuovo il Signore.

Anche oggi è tempo di resistenza, urge resistere in questo clima di sfiducia, in cui il domani è visto con paura, in cui la violenza dilaga, la speranza si spegne, la malizia sembra vincere sull’onestà, in cui la chiesa è percepita dai giovani come lenta, vecchia e lontana (lo afferma Paola Bignardi nel libro «Cerco dunque credo»), dove ancora, in questa stessa chiesa, contrariamente alla lezione del Maestro, il pensare e il decidere sono riservati solo ad alcuni, nelle stanze alte, dove non c’è ancora spazio per un sedere alla pari, donne e uomini mescolati.

Resistere: «vedere nella notte ciò che altri non vedono, scorgere una Presenza dove tutto è avvolto dalle tenebre, un significato dove tutto pare non senso, un amore anche dove tutto sembra inimicizia e odio».

«Raccontaci, Maria:
che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente,
la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni,
il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto:
precede i suoi in Galilea».

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