Cosa c’è in filigrana nel Carisma delle Figlie dell’Oratorio?

Il tempo che intercorre tra la nascita di un Carisma e il suo perdurare negli anni mette in evidenza la presenza di un nucleo che né i cambi sociali, né quelli storici e nemmeno le generazioni che si succedono possono scalfire, e che pertanto è importante riconoscere e approfondire per far sì che sviluppi in pienezza tutte le sue potenzialità.

Per i fondatori e le fondatrici il carisma è stato intrinseco alla loro esistenza perché erano donne e uomini dello Spirito. Il Carisma, infatti, si racconta principalmente attraverso la vita delle persone che ad esso si ispirano, ed è come un documento in filigrana: la missione e l’ispirazione, l’una intrecciata all’altra, ma la pagina del Vangelo a cui si ispira e su cui si fonda è frequentemente nascosta.

Le prime Costituzioni delle Figlie dell’Oratorio descrivono, infatti, la «forte impressione» che colpisce don Vincenzo e l’iniziativa che ne è nata, e a volte solo in modo implicito, riportano l’aspetto della vita di Gesù che è la roccia su cui costruire il progetto.

Quale potrebbe essere la pagina evangelica che dà fondamento alla forte impressione che ha avuto don Vincenzo Grossi e che lo ha trasformato da parroco in fondatore?

Scrive don Vincenzo nelle prime Regole (1901): «Tutti vedono i pericoli grandi a cui si trova esposta la gioventù femminile… L’antipatia, se non l’avversione a tutto ciò che apertamente si mostra religioso rende impossibile o meno utile l’opera delle suore a loro favore. Le fanciulle, poi, più dissipate… provano ripugnanza ad avvicinare le suore».

Don Vincenzo intuisce che il pericolo oggettivo in cui si trova la gioventù è aggravato dalla loro insofferenza per tutto ciò che si mostra apertamente «religioso»; lo stesso abito diventa un impedimento e più ampiamente l’appartenenza ad un istituto religioso crea distanza. E aggiunge che anche i parroci non riescono a far fronte a «questo stato di cose».

Quando «Gesù vide molta folla… si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore e si mise ad insegnare loro molte cose» Mc 6,34.

Non mancavano i maestri in Israele, i dottori della legge, gli scribi, ma erano così legati al loro ruolo, che agli occhi del popolo apparivano troppo religiosi, troppo osservanti, troppo distanti e la folla non riusciva ad affidarsi a loro anche perché «li caricavano di pesanti fardelli».

Per Don Vincenzo l’inefficacia degli istituti religiosi e l’inadeguatezza dei parroci nella cura della gioventù, evidenziavano il problema vero: la distanza che si era creata tra i «pastori» e le giovani, soprattutto quelle «più dissipate»!

Gesù, commosso, si accostò e «si mise ad insegnare loro molte cose».

Che cosa insegnava? Gesù raccontava di suo Padre e del Regno di Dio quando entrava nella sinagoga, lungo la riva del mare, o seduto su una collinetta, in casa di amici come di personaggi pubblici; intratteneva con parabole chi lo invitava a mensa, dormiva vicino ai suoi discepoli, condivideva la casa di uno di loro…faceva la strada insieme a tutti: cercava di illuminare di senso le loro vite semplici e spesso tribolate.

Don Vincenzo intuisce che questo è lo stile per arrivare alle giovani: senza segni esteriori che possano creare distanza, e che siano raggiunte là dove si trovano. Così devono essere le suore a cui pensa di dare vita: senza nulla che le definisca come suore, ma vere religiose davanti alla chiesa.

Quanta impressione esercita su di noi l’indifferenza dei nostri tempi, lo stato attuale in cui i segni religiosi sono oggetto di ironia o di blasfemia?

È il tempo di riscoprire e ravvivare il nucleo del carisma: sentire compassione, ridurre le distanze, offrire dei segni che siano comprensibili.

Gesù insegnava «molte cose»: lui è sempre sovrabbondante!

Don Vincenzo conclude le Regole con un dettaglio che richiama questa eccedenza di Gesù. Le sue suore, scrive, «si dedicano a questo con intera devozione»: totale dedizione di cuore, di mente e di tempo.

Rispondi