Come se vedesse l’invisibile!

Il tempo liturgico della Quaresima ci fa periodicamente riavvicinare al libro dell’Esodo, lettura distribuita sulle prime tre settimane dell’Ufficio delle letture. È per antonomasia il libro del cammino, della strada, del viaggio. È il testo che ci racconta cosa succede tra la sponda di partenza sul Nilo e l’arrivo alla sponda della terra promessa, oltre il Mar Rosso.

Esodo non è solo un libro biblico, ma un tempo che stiamo vivendo, sia come chiesa che come vita religiosa. È un tempo di sospensione e di trasformazione. Il cammino è iniziato, lasciando la riva di quell’Egitto che in principio era stato il luogo della salvezza dalla carestia e che col tempo era divenuto il recinto della schiavitù, dell’ingiustizia e della sottomissione, verso orizzonti nuovi, ignoti e sconosciuti, ma forieri di libertà e leggerezza, di respiri ampi e distesi, che sarà possibile vedere solo quando sarà raggiunta l’altra riva.

I lunghi quarant’anni di cammino nel deserto hanno impedito a molti di quelli che erano partiti di giungere a quella terra. Nemmeno Mosè ci è arrivato e questo farebbe pensare che il viaggio sia stato un inutile spreco di energie. Ma è proprio grazie a lui e a tutti quelli che hanno camminato con lui che invece è nato qualcosa di nuovo e di inedito ed è maturata la libertà dal faraone e dalle cipolle d’Egitto.

Così è per noi oggi. La crisi che sta attraversando la vita religiosa (e con lei la chiesa) ci ha spinto fuori dalle terre conosciute, ci ha fatto lasciare la prima sponda per metterci in viaggio, più o meno consapevolmente e più o meno volentieri.

L’esodo che siamo chiamate a vivere non è innanzitutto quello di lasciare i grandi numeri di un tempo, i nostri servizi e le nostre opere, ma soprattutto ciò che crediamo di conoscere e di sapere, ciò che riteniamo importante ed essenziale e che invece non lo è.

Forse può capitare di pensare che questo tempo che stiamo vivendo sia di disgrazia e di sventura, facendoci cadere nella lamentela, chiudendo il nostro sguardo sul passato glorioso, sui tempi d’oro, senza rivolgerlo mai al presente, che invece è un tempo di possibilità, potenzialmente creativo, in cui ancora può nascere qualcosa.

Siamo in viaggio e quando si è in viaggio può capitare di tutto, il libro dell’esodo ce lo dimostra a chiare lettere: in alcuni momenti, quelli più faticosi e dolorosi, c’è la voglia di tornare indietro, in altri c’è la voglia di allungare il passo. L’assenza di Mosè fa precipitare di nuovo il popolo nell’idolatria, il vitello d’oro sazia apparentemente la fame di sicurezze e certezze della gente, l’impossibilità di accumulare la manna rende le persone arrabbiate e sospettose, le cipolle d’Egitto appaiono più sostanziose delle quaglie.

Ma in tutto questo, gli ebrei in fuga scoprono che la realtà è abitata da una presenza divina che ha ali larghe e grandi. E come loro non hanno affrontato da soli il cammino che avevano davanti, così anche noi: la realtà, la nostra realtà, tutta la realtà, è abitata. Non ci è nemica ma anzi ci conduce. Non dobbiamo cambiarla, dobbiamo imparare a leggerla, ad ascoltarla ad amarla. È il nostro sguardo che deve cambiare e farsi meno affannato, capace di alimentare lo stupore e l’apertura a qualcosa di nuovo e inedito, uno sguardo più profondo, “come se vedesse l’Invisibile” (Eb 11, 27).

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