«Casa» religiosa: vivaio di sinodalità

Gli interrogativi posti da suor Grazia Loparco nella sua relazione al convegno del Claretianum di cui abbiamo parlato…, ci hanno portato a ritornare su alcuni aspetti identificativi della nostra vita di Figlie dell’Oratorio e dello stile di vita che ci caratterizza. Ci soffermiamo sull’importanza della «casa», perché sin dagli inizi le comunità/i luoghi/gli ambienti di vita delle Figlie dell’Oratorio si chiamarono semplicemente «case» e non conventi, istituti, fraternità o espressioni simili. Come mai? Un caso? Una scelta? E perché?

Scorrendo alcuni documenti che riportano note riguardanti le aperture delle diverse comunità fin dagli inizi, l’abitazione per le suore era chiamata «casa». Spesso era ricavata da edifici disabitati, magari un po’ fatiscenti, non necessariamente in prossimità della chiesa, per cui è facile capire che erano in mezzo ad altre, vicine alla gente, strutturate come abitazioni di famiglia.

Anche nei decenni successivi, quando si imponeva la necessità di spazi ulteriori per svolgere le attività educative e formative per la gioventù, la casa delle suore continuò ad essere identificata come «casa». Gli spazi erano condivisi, le porte aperte, pochissimi vani erano contrassegnati dalla «clausura» canonica, probabilmente solo le camere e neanche quelle, se la comunità svolgeva attività di accoglienza, perché le suore, per motivi di sorveglianza, avevano uno spazio ritagliato tra i letti delle ospiti nelle grandi “camerate”.

Sicuramente queste sono state delle scelte non pensate a tavolino, su un progetto, ma a partire da un contesto e da uno stile di vita che scaturiva da una modalità particolare di vivere la presenza, la consacrazione, il servizio. Potremmo dire, espressioni esteriori di un carisma.

Nella evoluzione urbanistica e sociale del nostro contesto occidentale abbiamo assistito al passaggio dalla casa patriarcale all’appartamento come abitazione comune e diffusa. Eppure questa evoluzione non ha intaccato questa nostra peculiarità. Infatti, anche oggi, che la riduzione dei numeri e una economia oculata della gestione degli spazi in disuso, potrebbero suggerire la scelta dell’appartamento, la casa, nella sua accezione più profonda, rimane il nostro habitat.

Questo perché, come ha scritto qualcuno (*), la casa ha sempre avuto ed ha ancora un significato simbolico che possiamo raccogliere in tre immagini: casa natale, casa paesaggio e casa finestra.

La casa religiosa – ogni casa religiosa e non solo la «casa madre»! – è casa natale, perché ha a che fare con il dare la vita, ma anche riceverla. Dare e ricevere la vita in comunità diventa fondante non solo perché genera nuove persone consacrate, e quindi nel senso che «dà alla luce», ma anche perché continua a mantenerle in vita, aiutandole a crescere, secondo il principio dei vasi comunicanti per cui la vita mentre genera, rigenera tutti.

La casa religiosa è anche casa paesaggio, lo spazio degli affetti e delle relazioni oltre la carne e il sangue, per cui introduce in una direzione di scoperta, in una dinamica verso l’«oltre» di sé, appunto verso la relazione con l’altro, le relazioni. Pertanto la casa è il mondo in miniatura, ma non è una scatola chiusa, spinge ad aprirsi su spazi condivisi, su un giardino, un cortile, su una piazza. La casa diventa la casa da abitare, da vivere con senso di appartenenza, da rendere propria dimora per riconoscere e scoprire le altre case.

Infine, la terza immagine della casa è la casa «finestra», una finestra sul mondo. Il cuore della casa diventa il principio di orientamento. Essa diventa il centro da cui partire per l’esplorazione del mondo, per elaborare linguaggi, comportamenti, gesti, scelte, iniziative, per costruire fraternità ad extra, per realizzare la missione insita nella vocazione.

Secondo questi significati simbolici la «casa» richiama la famiglia e ci si spiega perché tra le caratteristiche del nostro Istituto è sempre stato presente lo «spirito di famiglia».

La casa vissuta secondo lo spirito di famiglia secondo questa dimensione dovrebbe aiutare a costruire la vita come luogo di scambio simbolico, il luogo non solo per venire alla luce, per aprirsi alle relazioni, ma anche per esplorare il mondo a partire da un «centro». E il centro di ogni nostra casa è e deve essere Gesù.

La casa religiosa e lo spirito di famiglia che la dovrebbe animare, non sono finalizzati a garantire un benessere psico-fisico, una sensazione pervasiva di protezione affettiva, di garantismo economico, ma sono le condizioni per una esperienza completa di «vita secondo lo Spirito», vita che parte da un contesto umano ma che lo trasforma perché il principio orientante è lo Spirito stesso!

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