La responsabilità di governo, esercizio di sinodalità

Il Convegno dello scorso dicembre 2023 ha affrontato il tema della sinodalità anche dalla prospettiva della responsabilità di governo. La relatrice, la dott.ssa Donatella Acerbi, consacrata laica della Comunità della Quinta Dimensione della Famiglia Pallottina, lo ha fatto con l’aiuto di alcune clip tratte dal film «Uomini di Dio» che racconta la vicenda finale dei monaci di Tiberine.

Prima clip. Il superiore viene avvisato dalle autorità governative che, in quanto stranieri e cristiani, sono in pericolo ed è invitato o ad accettare una protezione militare per il monastero o a lasciare il paese. Il superiore, seduta stante, risponde: «La mia decisione è presa. Rifiuto».

Prende una decisione in prima persona che, se pure mirata a salvaguardare la vocazione e la missione della comunità, scavalca le persone, si mette davanti e sopra di esse. Con questo gesto autonomo egli si considera «altro» dai membri della comunità, che percepisce come sua proprietà.

Seconda clip. I monaci, pur consapevoli del pericolo reale che stanno correndo, rimproverano il superiore non per aver rifiutato la protezione militare ma perché, nella decisione che coinvolge tutta la comunità per la vita e per la morte, per il presente e per il futuro immediato, ha deciso da solo. Gli dicono, infatti: «Non ti abbiamo eletto perché tu decidessi da solo. È il principio stesso della comunità che viene messo in discussione dal tuo comportamento».

Terza clip. Dopo un lungo e sofferto processo di discernimento personale e comunitario, il superiore invita ogni monaco a pronunciarsi personalmente sulla decisione di rimanere o di andarsene. Sorprendentemente la decisione di ognuno di essi è concorde e unanime sulla necessità di rimanere a Tiberine.

Conclusione: Visto che la comunità alla fine si è espressa a favore della scelta di rimanere, e quindi c’era concordanza tra l’anteprima del superiore e il finale della comunità, che cosa non era stato coerente e corretto nel comportamento del superiore?

Alla decisione del superiore presa davanti al Prefetto, tutti, una volta informati, avrebbero dovuto dare solo il loro «assenso» senza altra possibilità che non fosse l’adeguamento a quanto stabilito da lui, ma tutti sarebbero stati molto lontani dal «consenso». Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet! – Ciò che interessa tutti deve essere trattato e approvato da tutti! -, afferma il diritto romano a cui si è rifatta sempre la Chiesa fino al Concilio Vaticano II! Prassi tuttora in vigore nella vita monastica…

Il superiore era superiore perché c’era una comunità, senza di essa non lo sarebbe stato, non poteva quindi decidere per essa a prescindere da essa. Inoltre essersi sostituito al discernimento personale e comunitario dei monaci, aver precluso il loro ascolto, ha sottovalutato non solo le persone dei  monaci ma l’opera dello Spirito che passa attraverso la vita e il pensiero di ciascuno di essi.

La decisione finale a cui sono pervenuti, non è stata una sottomissione unanime o un adeguamento passivo alla decisione del superiore, ma esperienza di vera comunione perché i monaci nell’ascolto reciproco, nella condivisione di paure, speranze, convinzioni, si sono sintonizzati in un doloroso e faticoso processo di preghiera e discernimento.

Se la decisione in anteprima del superiore li aveva disorientati, dispersi, ora l’esperienza dell’ascolto personale e comunitario ha portato alla luce le radici della loro vocazione e missione per cui hanno deciso di accogliere anche la possibilità del martirio.

Sinodalità prima di «fare insieme», è ascoltarsi, dare spazio all’ascolto reciproco, favorire e promuovere la possibilità di esprimersi, trasmettere la fiducia di essere ascoltati, anche perché nella condivisione ognuno consegna alla comunità o all’altro parte di sé, della propria anima, segni dell’opera di Dio in lei.

 

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