Siamo ancora missionarie?

È trascorso poco più di mezzo secolo dal 31 gennaio 1966, giorno in cui partirono le prime Figlie dell’Oratorio per costituire una nuova comunità in America Latina (Argentina) e molte cose sono cambiate. La più macroscopica è la riduzione della nostra presenza nella missione ad gentes.

Nel frattempo, è maturata teologicamente una nuova idea di missione: tutta la Chiesa  –  e in essa tutti i cristiani – sono missionari (EG 119).

Non solo. La missione non si fa solo «verso» i popoli (ad gentes) ma anche «tra» i popoli (inter gentes). Siamo passati da una impostazione colonialistica (promotrice di sviluppo e benessere) alla valorizzazione delle culture, delle credenze, dei valori presenti tra i popoli. Da una missione che inglobava tutti a sé, (Chiesa, Istituti, cultura occidentale) ad una missione che non parte da Roma-Propaganda Fide ma dalle Chiese locali delle «periferie» del mondo.

La categoria fondamentale non è più «dove» (partire…) ma «a chi» e «come» andare.

Questi cambiamenti, ovviamente, non esonerano dalla vocazione missionaria fondata nel battesimo. Se anche non fosse più presente nel nostro futuro la richiesta di lasciare la propria terra, rimane la vocazione alla missione per ciascuna di noi.

In una realtà dove la «dottrina» ha perso rilevanza, dove «Cristo» è considerato alla pari di altri personaggi religiosi, la necessità di una missione urge.

La chiave è quella di comunicare il vangelo non con i manuali di teologia o di catechetica alla mano, ma camminando a fianco dei nostri contemporanei, imparando ad usare il linguaggio attuale, fatto di dialogo, di attenzione all’arte, all’ambiente, alla sociologia e filosofia, alle nuove tecniche comunicative.

È urgente che impariamo una «nuova lingua» a prescindere dal luogo dove siamo e operiamo: è segno di sensibilità missionaria.

Rispondi