Ridisegnare la pastoralità

Nel sito Figlie dell’Oratorio le «comunità», tutte, o quasi, sono connotate dalla voce «pastorale parrocchiale».

Fino a qualche decennio fa, insieme alla scuola per l’infanzia, tra le attività svolte era preminente la voce «oratorio». Nei documenti degli inizi storici era ricorrente e comune la voce «si dedicano alle opere parrocchiali».

È un ritorno strategico? O più realisticamente un cambio fisiologico?

Se si considerano alcune varianti ecclesiali e pastorali, questo cambio potrebbe evidenziare un processo di adeguamento ai tempi non tanto nel linguaggio quanto alla realtà. La parrocchia, da due o tre decenni, non ha più il prete per l’oratorio, e quando c’è deve occuparsi di tre, quattro oratori dislocati nel territorio dell’unità pastorale. I nuovi preti, cosiddetti «giovani», spesso ne affidano la cura e la gestione ad educatori, volontari, genitori… per cui l’oratorio è aperto ad ore, in alcuni giorni e ad alcune condizioni.

Per noi, religiose, se parliamo di oratorio, abbiamo un deterrente, l’età avanzata, a cui aggiungiamo un senso di inadeguatezza che non possiamo negare.

Forse da questo contesto molto più complesso di quanto appare, è nata la scelta, quasi naturale e magari nemmeno studiata a tavolino, di sostituire a «oratorio» «pastorale parrocchiale» o più semplicemente si è preferita una espressione più ampia.

La sostanza non cambia, semmai cambia la forma perché le comunità sono chiamate, comunque, ad esprimere la pastoralità del carisma.

La questione non è il linguaggio che si usa nei documenti, ma la modalità con cui vivere la pastorale parrocchiale. Considerati i cambiamenti che sono in atto da una parte e dall’altra, il nodo è ridisegnare la pastorale parrocchiale per noi, non tanto per capire quali servizi alla nostra portata sono rimasti scoperti e quindi assumerli. Studiare il concetto originario di spirito «pastorale» come lo pensava don Vincenzo, il quale non ha pensato solo alla gioventù abbandonata di cui qualcuno avrebbe dovuto farsi carico ma ha disegnato anche uno stile di presenza nella parrocchia.

Venuto meno il potere attrattivo e aggregante dell’oratorio, si rivela fondante la chiamata a vivere della vita della parrocchia come vere religiose nel cuore ma normali fuori.  Dove normali è da intendere come diceva don Vincenzo, cioè come qualsiasi altro fedele, secondo il principio dei vasi comunicanti: non tutti allo stesso modo ma ognuno secondo la propria capacità e possibilità.

Il senso della nostra presenza nella pastorale parrocchiale non può essere  indebolito per l’assenza di attività e servizi, ma lo possiamo trovare nella appartenenza al «popolo di Dio».

Per me, per la mia comunità, in qualsiasi latitudine si trovi, o qualsiasi età media presenti, che cosa vuol dire dedicarsi alla pastorale parrocchiale? Perché la missione della Chiesa non ha bisogno solo di coraggiosi pescatori, ma anche di silenti fabbricatori di reti.

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