La domenica delle palme… o della regalità di Gesù
Gesù entra in Gerusalemme qualche giorno prima della sua passione, con i trionfi che si merita un re al ritorno dalle sue imprese. La sua è stata davvero una campagna contro lo spirito del male e qualsiasi sorta di mali, ma non ha ancora chiarito il dilemma che riguarda il suo Regno, anche se è stato evidente che i suoi parametri non sono quelli del mondo.
Infatti, entra trionfante in Gerusalemme ma su una cavalcatura di fortuna; le ghirlande celebrative sono rami strappati all’ultimo minuto dagli alberi, il «carpet» sono mantelli stesi a terra, le grida di osanna sono prese dai riti del tempio, e la corona e la veste di porpora, che di lì a qualche giorno gli imporranno, si riveleranno una parodia.
Il suo è fascino e non potere, autorevolezza e non autorità, mitezza e non forza.
Lo avrebbero capito le autorità che l’esercito di Dio, Signore degli eserciti, non sarebbe intervenuto per confermare la sua intronizzazione; e i suoi discepoli più stretti avrebbero immaginato che non ci sarebbero stati troni alla cui destra e sinistra non vedevano l’ora di sedersi?
Gesù, per la maggior parte dei suoi contemporanei, rimaneva uno sconosciuto.
Dopo questo ingresso trionfante, la Verità gli avrebbe lasciato ancora qualche giorno da vivere velato dal mistero.
Ma anche allora fu «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1 Corinzi 1, 22).
Tutto inutile? Sempre inutile?
Come gli abitanti di Gerusalemme che dall’osanna sono passati al crucifige, al battersi il petto…