Ascoltare, perché udire non basta (Sintesi Nazionale fase diocesana – 1)

Ascoltare è una delle parole più usate in questa prima fase del sinodo. Come dice la sintesi nazionale, «l’ascoltare e il sentirsi ascoltati sono certamente la grande riscoperta del processo sinodale e il suo primo inestimabile frutto».

Ma ascoltare non è cosa scontata, non è questione solo di orecchi. Richiede un cambiamento e una disponibilità interiori, un impegnativo lavoro su sé stessi, un’apertura di cuore e di sguardo che non possono essere affidati alla spontaneità, ma vanno custoditi e coltivati e soprattutto voluti.

Udire e ascoltare non sono sinonimi. Nel primo caso, basta avere due orecchie che funzionano. Non serve impegno per udire un rumore, un suono, una voce. Nel secondo caso invece, sono indispensabili attenzione e volontà. Udire è un dato di fatto, ascoltare è una scelta.

Dal lavoro sinodale sono emersi chiaramente «la necessità di crescere nell’ascolto di ogni persona nella sua concreta situazione di vita» e «il riconoscimento del debito di ascolto come Chiesa e nella Chiesa».

Per ascoltare le persone è necessario un vuoto dentro di sé. 

Spesso c’è poco interesse ad ascoltare perché ormai ognuno è pieno, colmo di sé e non lascia veramente un vuoto da riempire. Anzi, si sente continuamente chiamato a dare le risposte più giuste, a convincere qualcuno di qualcosa, a riempire l’altro in qualche modo. Ecco allora che la fase di ascolto del sinodo è occasione per la chiesa di «kenosi», di svuotamento dalla propria convinzione di essere solo maestra; opportunità «di rinunciare alla pretesa di sapere sempre che cosa dire e di imparare a riconoscere e accogliere la complessità e la pluralità».

«L’ascolto chiede di far cadere i pregiudizi» e non può prescindere da un nuovo sguardo sull’altro, fatto di stupore, di apertura alla novità e alla diversità. Il filosofo Leibniz diceva che «c’è un posto ideale per vedere il mondo e questo posto è il punto di vista dell’altro». Ascolto e sguardo sono strettamente connessi, entrambi dipendono da quanto davvero l’altro mi interessa; entrambi esigono spogliazione e decentramento per fare spazio, per accogliere l’altro per quello che è, con l’umiltà di non volerlo cambiare a proprio piacimento.

Le Chiese che sono in Italia hanno ribadito il dovere di mettersi in ascolto non solo della Parola di Dio, vero «antidoto contro il ripiegamento su di sé», ma anche delle tante persone che soffrono violenza, abbandono e giudizio. L’ascolto autentico non può essere ridotto a un «contentino», a un’elemosina elargita per poi proseguire come prima. Non può prescindere dalla disponibilità al cambiamento. «È già annuncio della buona notizia del Vangelo, perché è un modo per riconoscere il valore dell’altro, il suo essere prezioso. L’ascolto è allora tutt’uno con la missione affidata alla Chiesa ed è principio e stile di un’assunzione di responsabilità per il mondo e per la storia».

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