Accogliere, ovvero fare voto di Vastità (Sintesi Nazionale fase diocesana – 2)

Accogliere è un’espressione che potrebbe suonare unidirezionale: qualcuno che da fuori deve entrare viene accolto, quasi come se fosse un gesto di accettazione e bontà dall’alto in basso da parte di chi è già dentro. Un degnarsi di una presenza di cui in fin dei conti si potrebbe (e preferirebbe) far senza, a cui invece si concede qualcosa. La sintesi mette in guardia da questa ambiguità quando dice che «non si tratta di pensare che chi è parte della comunità ecclesiale debba fare uno sforzo di apertura verso chi rimane sulla soglia. Piuttosto, l’accoglienza è un cammino di conversione per dare forma nella reciprocità a una comunità fraterna e inclusiva che sa accompagnare e valorizzare tutti. Questa consapevolezza consente di superare la distinzione ‘dentro’/‘fuori’».

L’accoglienza nasce dalla consapevolezza del proprio vuoto interiore, un vuoto che permette di guardare con benevolenza la propria debolezza e di non scandalizzarsi di quella altrui. Non può essere accogliente una comunità che si illude di possedere e sapere tutto. Se anche si sforzasse di far spazio a qualcun altro, lo farebbe sempre dall’alto della sua supponenza e presunzione e non potrebbe godere e far godere di questo suo agire. Accogliere non è un ospitare asettico e anonimo, ma è ricevere in sé e farsi duttili, conquistare un cuore plasmabile e morbido, non indurito nelle proprie sicurezze, disposto ad imparare da chiunque. È scoprirsi spaziosi e aperti, con cuore e mente dalle pareti elastiche che si dilatano.

È significativo che il lavoro sinodale abbia riconosciuto «l’esigenza di un ripensamento complessivo: numerose sottolineature fanno emergere carenze sul piano della capacità di inclusione. In particolare, si riconosce il bisogno di toccare ferite e dare voce a questioni che spesso si evitano». Indifferenza e accoglienza non possono stare insieme. Dove c’è una non può esserci l’altra. La mancanza d’amore e di conoscenza, il non volersi mescolare con l’altro, il vivere vicini ma pur tanto lontani, è un respingere cortese, è una distanza inospitale. E nemmeno possono stare insieme rigidità e accoglienza. Occorre osare di abbandonare la regola ogni volta che la regola si oppone all’amore, occorre fare voto di vastità per abbattere muri e spalancare porte, perché «tante sono le differenze che oggi chiedono accoglienza: generazionali (i giovani che dicono di sentirsi giudicati, poco compresi, poco accolti per le loro idee e poco liberi di poterle esprimere; gli anziani da custodire e da valorizzare); generate da storie ferite (le persone separate, divorziate, vittime di scandali, carcerate); di genere (le donne e la loro valorizzazione nei processi decisionali) e orientamento sessuale (le persone Lgbt+ con i loro genitori); culturali (ad esempio, legate ai fenomeni migratori, interni e internazionali) e sociali (disuguaglianze, acuite dalla pandemia; disabilità ed emarginazione)».

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