Gli occhi disincantati del nipote don Ubaldo (Guardare don Vincenzo con … 13)

Don Ubaldo Grossi fin da ragazzo si è trovato di fronte a due zii sacerdoti, figure molto diverse tra loro. Da seminarista scelse di trascorrere le vacanze presso lo zio don Giuseppe: era affascinato dal titolo e dall’incarico onorifico e prestigioso di «abate di Casalmaggiore». La canonica era un palazzo signorile e la perpetua era la sorella Bettina. Confort e cure familiari a cui si aggiungeva una cerchia di parrocchiani che appartenevano a una classe media borghese. Dopo la morte di don Giuseppe nel 1894, Ubaldo si avvicinò a don Vincenzo, che era semplicemente parroco e per tutta la vita. Nella parrocchia di Vicobellignano celebrò la prima messa solenne. Tutto quel contesto di semplicità, e forse povertà, gli è divenuto piano piano familiare avendo trascorso ben nove anni come coadiutore dello zio.

La sua attenzione è stata richiamata dalla canonica decorosa ma che in nulla si distingueva dalle altre case del paese, né per stile, né per comodità. Le cure che lo zio riceveva erano quelle di una «vecchia fantesca», scrive nella sua testimonianza, che gli cucinava immancabilmente la minestra per le h 12.00 anche se don Vincenzo rientrava dai suoi viaggi qualche ora più tardi.

Non gli è sfuggito la povertà dell’arredo, essenziale e malconcio, non per trascuratezza ma perché, lo zio, i suoi beni li destinava alle suore e alle strutture per i giovani. La canonica di Vicobellignano cambierà aspetto quando morirà don Giuseppe, il cui arredamento verrà trasferito totalmente a Vicobellignano. Anche tra gli abiti di don Vincenzo, se c’era qualcosa di elegante era il soprabito che aveva ereditato dal fratello. Don Ubaldo ha visto fatti e non parole e queste ultime erano solo la conferma di uno stile di vita sobrio e disinteressato.

Essendo di Pizzighettone, Don Ubaldo aveva potuto vedere i primi passi della fondazione di don Vincenzo. Ha conosciuto le prime suore di Regona e di Pizzighettone e poi a Vicobellignano altre ancora in occasione del loro frequente via vai, ma soprattutto ha seguito l’evoluzione degli inizi, il passaggio da semplice associazione a istituzione religiosa con gli imprevisti che l’hanno segnata.

È stato testimone, racconta, del taglio che c’è stato tra le comunità di Regona, Pizzighettone e don Vincenzo. I biografi riportano che la Cipelletti fu esonerata dal suo incarico di superiora e si rese indipendente da don Vincenzo, ma don Ubaldo riferisce che con lei si sono ritirate le suore di due comunità. Egli spiega che don Vincenzo viveva questi incidenti di percorso senza commentare e senza drammatizzare, quasi fossero eventi normali in un cammino nuovo.

Nominato amministratore della parrocchia di Vicobellignano per un anno, dopo la morte dello zio, don Ubaldo ha raccolto e trattenuto presso di sé, scritti, manoscritti, e quant’altro appartenesse a don Vincenzo. Anche se più volte fu richiesto dall’Istituto di poterne disporre, oppose resistenza, e solo dopo molti anni (1944 data dedotta) consegnò il materiale prezioso, consapevole che doveva servire a testimonianza di don Vincenzo e della fondazione, anche se preso dal dubbio che l’eccessiva devozione delle suore, a suo parere, potesse enfatizzarlo ai fini della beatificazione.

Forse, anche lui, non lo avrebbe mai visto sugli altari per assenza di qualche elemento di straordinarietà?

Don Ubaldo dimenticava che noi costruiamo le nicchie e dipingiamo le aureole ma è Dio che edifica la santità nei suoi fedeli.

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