Le donne consacrate oggi, tra crisi e «kairòs»

Quando si parla di donne e di donne nella Chiesa, non si può non pensare alla vita religiosa femminile, alle tante donne che lungo i secoli, fino ad oggi, hanno dedicato la loro vita al servizio dei deboli e dei poveri in nome del Vangelo e che hanno fatto de «la ricerca di colui che solo ha importanza: la ricerca di Gesù Cristo» (Bohnhoffer) l’unica ragione di vita. Essendo parte della Chiesa ed essendo quest’ultima in una fase di grande transizione, anche le consacrate non sono esenti dall’attraversare un grave tempo di crisi. Ci si rende conto che le cose non possono andare avanti come in passato, che un cambiamento è già in corso non per scelta nostra, ma per il trasformarsi della società, per la riduzione delle nostre forze e per il ridimensionamento dei nostri istituti. Non è da adesso che si dice che un modello di vita religiosa è giunto a esaurimento; ancora però non è chiaro come si svilupperà un nuovo stile di consacrazione, capace di fedeltà al Vangelo in un mondo che non è più quello di prima, che vede le donne in una posizione radicalmente cambiata e tuttavia ancora bisognosa di passi concreti non tanto per un riconoscimento della loro dignità, ma per un riconoscimento della vera identità della Chiesa.

Sono in molti a sostenere che il futuro della vita religiosa femminile sarà sempre più segnato dalla rottura più che dalla continuità con le forme tradizionali che l’hanno caratterizzata. Certamente la sistematica diminuzione numerica e di forze, non permette più di imporre o di impersonare l’ethos del mondo; le opere non sono più uno strumento per farci ascoltare o per determinare cosa conta e cosa no nella società. Il tempo in cui andava così è finito e non c’è da rammaricarsi, né tantomeno da investire energie per farlo ritornare. Tutto questo può far sorgere il timore di perdere l’identità, di farsi assorbire dal «mondo» che consideriamo sempre oggetto del nostro sforzo apostolico, bisognoso del nostro annuncio, ma mai soggetto portatore di verità.

Forse la vita religiosa femminile sta ancora investendo troppe delle sue forze per mantenere in piedi le sue strutture, per salvare il salvabile. Potrebbe essere invece un segnale profetico quello di imparare a parlare di meno e ascoltare di più, il non avere la pretesa di offrire agli altri le ricette per risolvere tutti i loro problemi, smettendo di pensare di avere corsie preferenziali di salvezza e riconoscendo a tutti il diritto di dissentire ed essere diversi, ma non per questo meno vicini alla verità. È un passo indietro che costa molto, ma non farlo potrebbe far sì che la gente ci senta sempre più lontane, chiuse in un sistema di vita di cui non coglie più il senso e il valore. Non è più tempo di separazione, ma di immersione nella vita di tutti.

Un altro passaggio irrimandabile è quello di una rilettura femminile degli schemi teologici, scritturistici e dogmatici ereditati nel tempo da voci quasi totalmente maschili, non per questo sbagliate, ma certamente parziali e incomplete. È necessario l’apporto delle donne, chiamate ad elaborare con coraggio e parresia un pensiero alternativo e complementare, che non si lasci rinchiudere in modelli che oggi non sono più sostenibili. Tante parole che fanno parte del nostro vissuto non sono di diritto divino e non hanno un senso univoco e inamovibile. È necessario prendere coscienza di questo, uscire dalla prigionia di interpretazioni considerate intangibili e assumerle con spirito critico e libero, capace di rielaborazione e re interpretazione. È ovvio che tutti i fondatori hanno fatto riferimento a una visione della donna e della vita religiosa confacente alla loro epoca. Ma, come spesso ha sottolineato papa Francesco, la vita religiosa e i carismi non sono pezzi da museo da studiare e conservare gelosamente o da vivere tali e quali a quando sono sorti. Si rilegge il passato non per ripeterlo ciecamente ma per interpretarlo alla luce dell’oggi, cogliendone la scintilla iniziale capace di incendiare il presente.

C’è dunque un campo amplissimo per la vita religiosa oggi e forse quel sentirci soffocare in spazi angusti e ristretti è un segnale chiaro che ci è chiesta una conversione, un cambio di mentalità, un taglio capace di donare alleggerimento e nuovo respiro. Senza «rottura» con ciò che c’era prima, non potrà esserci apertura a un orizzonte più grande, a nuove e diverse possibilità di vita. Si tratta solo di cogliere questa crisi accogliendola come kairòs e non solo come tempo di rinuncia alla gloria di ieri.

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