Dal Vangelo alle Relazioni (1)

La vita di un parroco è punteggiata da una moltitudine di relazioni: con i superiori, con i confratelli, con i propri fedeli, con i collaboratori più stretti e con le persone incontrate casualmente.

C’è un registro per ogni tipologia di rapporto: la deferenza con il vescovo, la fraternità con i confratelli, la paternità con i fedeli, la corresponsabilità con i collaboratori, la confidenzialità con gli amici e la considerazione, anche se solo momentanea, negli incontri occasionali.

Non è virtù riuscire a entrare nella sintonia corretta e adeguata con le persone; lo è, però, quando le relazioni sono disinteressate e libere, sincere e non formali, soprattutto quando non sono considerate funzionali, fosse anche solo al proprio ruolo, ma sono la manifestazione che abbiamo un unico Padre, Dio, che siamo fratelli, perché tutti figli di Dio,  e sono segnate dal sigillo della carità secondo il significato multiforme e le variegate manifestazioni con le quali san Paolo riesce molto bene a coniugarla.

La carità è paziente, è benigna la carità;

non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto,

non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,  

non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.

 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

 La carità non avrà mai fine.

È una carità affrancata da una serie di regole di buon comportamento, una carità che nasce dalla sovrabbondanza d’amore che è stata riversata nei nostri cuori,  cioè dall’essere amati da Dio in modo permanente e liberale.

Ripercorrere alcune relazioni di don Vincenzo, rileggendole in chiave teologica, non vuole essere un tentativo di apologia, ma intuire come anche nelle cose più naturali, se gli viene consentito, Dio è presente, operante e crea cose nuove!

Don Vincenzo e mons. Bonomelli

Verso il vescovo Bonomelli, don Vincenzo ebbe una sincera venerazione. Nasceva sul principio che era il suo superiore al quale doveva stima e obbedienza, un’obbedienza fondata sulla fede che ogni autorità viene da Dio e che viveva come la comunione eucaristica,  non formalmente, ma divenendo un tutt’uno con essa.

Li tenevano distanti, molte cose, come il modo di interpretare la storia a loro contemporanea, e pur senza volerlo, si trovarono su due posizioni politiche ed ecclesiali non opposte ma parallele: ognuno convinto che fosse quella vera e giusta.

Li avvicinava, invece, il primato dato a Dio e al Suo Regno. C’era, tra i due, inoltre, una attrazione che nasceva dalla originalità dei caratteri, se pure a livelli diversi. Le battute ironiche che si sono indirizzati reciprocamente e  che sono state riportate come aneddoti, dicono, paradossalmente la profondità del rispetto reciproco. Al  di là dei difetti che, celiando, uno sottolineava nell’altro, c’erano, nel vescovo la consapevolezza che il suo prete era prezioso agli occhi di Dio e in don Vincenzo la scelta di obbedire al vescovo e di amarlo come avrebbe fatto con Dio. La carità, infatti, se c’è, non manca di rispetto!

Don Vincenzo e i confratelli sacerdoti

Con i suoi confratelli in parrocchia come con quelli della zona, la sincerità e la disponibilità caratterizzavano  i contatti. La scelta di preferire lo studio ad altre attività meno adeguate ad un prete per riempire il tempo libero, gli aveva guadagnato la fama di ub preparato ed ortodosso. Non era motivo di vanto per lui, neppure quando era indicato ai giovani seminaristi come prete assolutamente fedele al papa, senza per questo essere considerato oscurantista. La sapienza che aveva accumulato, la stabilità dottrinale e pastorale a cui era pervenuto erano frutto dello Spirito e della familiarità con le Sacre Scritture e i Padri della Chiesa. E le condivideva come fa un buon padrone di casa che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

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