Il tentativo di soppressione

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La mia preoccupazione che l’iniziativa della nuova fondazione non venisse troppo alla luce, con il passare degli anni fu una pia illusione. Alcuni confratelli mi chiedevano la presenza di queste «consacrate» nelle loro parrocchie, perché si rendevano conto che, vivendo in modo comune in mezzo alla gente comune, potevano più facilmente raggiungere lo scopo del loro apostolato. E poi erano di buon comando! Da parte mia raccomandavo che dovevano attenersi alle richieste dei parroci in riferimento alle attività, ma non alla vita interna della comunità, per la quale io ero il riferimento. Venivano chiamate Orsoline o Mericiane. Vivevano dei lavori di cucito che facevano o con i piccoli contributi delle scuole materne affidate loro dai parroci o con lo stipendio di chi insegnava.

Questi ed altri aspetti, che costituivano la novità e la caratteristica che le distingueva dai classici istituti religiosi, furono però interpretati da qualche altro confratello in modo avverso e così piano piano, di chiacchiera in chiacchiera, si formò un elenco di capi d’accusa nei miei confronti, che non si fermò nelle riunioni di qualche canonica, ma arrivò in Curia.

Non andava bene che queste consacrate avessero me come riferimento anziché il parroco dove abitavano; le costringevo a vivere nella povertà; usavano le regole e il nome delle Orsoline di sant’Angela Merici e i responsabili non ne erano stati informati; non avevo ricevuto nessuna autorizzazione per costituire questa associazione; non era proprio necessario inventare un altro istituto con tutti quelli che già erano presenti…, e non mancò un cenno anche all’aspetto economico:  infatti dicevano che invece di investire i miei beni nella cura degli edifici della parrocchia, li destinavo alla nuova fondazione. Non posso negare la verità di queste situazioni, ma non posso tacere la manipolazione con cui venivano interpretate e diffuse con uno scopo preciso:  fare in modo che venisse messo fine a tutto.

E venne l’ufficialità! Mi chiamò il Vescovo e mi chiese spiegazione dell’uso delle Regole.

Che strano! non mi domandò nulla della nuova organizzazione di cui non avevo mai fatto parola a Lui! Promisi che avrei ritirato dalle comunità quei manoscritti e che avrei chiesto scusa e quant’altro alla Compagnia delle Orsoline. E così fu. Per il resto mi sembrava che non avendo avuto alcun richiamo diretto, tutto fosse accettato, anche se ancora non approvato. E invece, qualche mese dopo, in margine ad una Lettera pastorale del Vescovo del 1897, lessi qualcosa come una ingiunzione e una minaccia a mettere fine a tutto. Non si facevano nomi, né di persone, né di luoghi, ma i dettagli erano così precisi che non ci si poteva sbagliare: era diretta a me e alla associazione che avevo avviato.

Dovevo prendere quelle parole alla lettera o fingere di non aver capito che erano per me?

Scelsi il silenzio e la preghiera. Nel frattempo, però, preparai una Regola nuova. Consultai diversi testi già approvati e trovai ispirazione un po’ qua e un po’ là. Erano parecchie pagine e mi sembravano importanti. Non volevo essere trovato impreparato, qualora il Vescovo mi avesse convocato per capire che cosa avevo in mente e che cosa stavo facendo. Volevo farmi avanti, ma preferii che fosse Lui a convocarmi. L’opera che avevo iniziato era davanti agli occhi di tutti e si raccontava da sola. Il Vescovo, però, in quegli anni era impegnato nella fondazione dell’Opera per i migranti e si assentava frequentemente. Immagino che una mia eventuale richiesta di approvazione avrebbe avuto proprio l’ultimo posto nella sua considerazione e sarebbe stato l’ultimo dei suoi pensieri. Conoscendo il mio superiore sapevo che se avessi fatto davvero il male che l’ingiunzione lasciava intendere, non era il tipo che delegava al cancelliere o ad altri la convocazione per richiamarmi all’ordine con energia.

Ovviamente non ritirai le suore da nessuna parrocchia, ma sospendemmo le aperture di case in diocesi di Cremona.

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