Non esercizi spirituali, ma di… umanità

Dopo la prima “reunion” dello scorso anno, il mese di agosto ’23 ha visto la «seconda edizione» delle giornate di fraternità e formazione a Bugiallo vissute dalle FdO un po’ meno attempate. Anche questa volta il clima creatosi è stato all’insegna della serenità, segnato dal gusto dello stare insieme e dal desiderio di godere la bellezza del creato e delle relazioni. In questo contesto, che non ha fatto solo da cornice all’esperienza ma ne è stato parte integrante, abbiamo voluto focalizzare la nostra attenzione sul delicato tema della castità, cercando il confronto aperto e sincero tra di noi e lasciandoci accompagnare dalle voci della dott.ssa Chiara Griffini e di don Marco Grega, religioso guanelliano già noto all’istituto.

Spesso la formazione permanente viene intesa come un momento per “buttare dentro” contenuti, quasi come se fossimo bottiglie vuote che hanno bisogno di essere riempite. È stato molto bello constatare invece che anche – o soprattutto – occasioni in cui condividere vissuti ed esperienze, domande sospese, desideri e fatiche è formazione permanente, da intendersi appunto come un tirar fuori ciò che abbiamo dentro per renderlo ricchezza per tutti. Non basta una bella conferenza, magari su zoom. Abbiamo bisogno di incontrarci e raccontarci, di conoscerci e accorciare le distanze. La castità passa anche e necessariamente da qui!

È emerso bene nel confronto tra noi il desiderio condiviso di relazioni genuine e trasparenti, fatte di accoglienza gratuita da offrire e ricevere, di ascolto, vicinanza e comunione, di reciprocità e di cura. Desiderio che non di rado si trova a fare i conti con lo scarto tra ciò che la castità promette, cioè un modo di amare sempre più profondo e autentico, e la realtà di una vita relazionale impoverita e indurita. È un segnale importante che non può essere ignorato e che non può risolversi con un maggiore sforzo per essere misericordiose o un proposito più determinato per diventare caritatevoli. La partita non si gioca lì, ma nell’avere strumenti che ci permettano di riconoscere i nostri bisogni profondi, di esprimerli anche nella vita fraterna, senza assolutizzarli ma stando attente a non negarli. Si gioca nel saper chiamare per nome le emozioni che ci abitano, senza giudicarle come buone o cattive, ma cogliendone la loro missione di essere rivelative dei nostri bisogni. È anche nel permettere a ciascuna l’acquisizione di questi strumenti che deve orientarsi la formazione permanente.

La castità non è una riduzione della nostra umanità, né tanto meno può essere ristretta alla mera astinenza sessuale o al mantenimento di una purezza esteriore asettica e fredda. Non si esprime nel tenere a distanza ma nell’avvicinarsi all’altro/a con cuore aperto e puro, senza ingenuità, ma senza timori di sorta. L’anestesia del cuore non è castità. Lo è invece la capacità di costruire rapporti liberi da modalità manipolatorie e possessive; quando la persona che mi sta di fronte non è strumentalizzata o usata e può essere veramente se stessa senza maschere e chiusure, lì c’è castità. Risulta evidente allora che la castità non è un punto di partenza o di arrivo, ma un cammino ininterrotto che non ammette conquiste acquisite per sempre, che richiede una profonda conoscenza di se stesse e una grande capacità di leggersi dentro. Cose che non possiamo dare per scontate e che ci obbligano ad attrezzarci, ad uscire da letture spiritualistiche della realtà che ci allontanano dalla logica dell’incarnazione e che non ci permettono di interpretarla in modo evangelico.

Ogni aspetto della nostra vita, e a maggior ragione la castità, non è mai solo una questione di fedeltà personale. La vita di relazioni e lo stile con cui le viviamo, sia dentro che fuori dalla comunità, sono infatti la cartina di tornasole della nostra capacità di amare, che è poi ciò che ci rende pienamente umane. Se dunque le nostre opere e strutture non fossero espressione di una fraternità autentica e non servissero a volerci e volere un po’ più bene, non avrebbero più motivo di essere; semplicemente perché, anche se fossero in grado di fornire servizi encomiabili, non sarebbero caste. C’è di che interrogarsi.

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