L’amore sta negli occhi (Fratelli tutti 3)

«Non ragioniam di lor ma guarda e passa». La celebre frase tratta dal Canto Terzo dell’Inferno della Divina Commedia esprime il disprezzo di Dante nei confronti degli ignavi, i vili che nella vita non si sono mai schierati e non hanno mai preso posizione. Ancor oggi l’espressione – in versione più popolare «non ti curar di loro…» –  viene usata nei confronti di chi è tiepido, di chi non è «né arte né parte» e proprio per questo indegno anche di un semplice sguardo. L’unico atteggiamento da tenere verso di loro è l’indifferenza assoluta perché con gente così non vale la pena sprecare nemmeno il tempo di un’occhiata.

Il detto dantesco va certamente contestualizzato, ma porta con sé il rischio di cadere e scadere in un modo di porsi stigmatizzato dalla Fratelli Tutti, che al n. 68 ci ricorda che «siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga ai margini della vita».

Il levita e il sacerdote del racconto evangelico vedono e passano oltre il dolore dell’uomo percosso dai briganti. Il samaritano, al contrario, guarda e si ferma. «Esistono due tipi di persone: quelle che si fanno carico del dolore e quelle che passano a distanza; quelle che si chinano riconoscendo l’uomo caduto e quelle che distolgono lo sguardo e affrettano il passo» (FT 70). La cura dell’altro è sempre una questione di sguardo, attento e luminoso, senza il quale non ci sarà mai possibilità di farsi carico di qualcuno. «C’è un riconoscimento basilare, essenziale da compiere per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza» (FT 106), fosse anche uno degli ignavi di Dante. «Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita la nostra dedizione» (FT 195). Lo sguardo delicato e profondo si trasforma immediatamente in responsabilità verso l’altro, cioè in risposta al suo bisogno, espresso o inespresso. È dagli occhi che comincia la cura del fratello. Se non lo vedo, se dirigo il mio sguardo altrove, o se non vedo in lui un «essere unico al mondo, che ha il suo cuore, le sue sofferenze, i suoi problemi, le sue gioie e la sua famiglia» (FT 193) non mi avvicinerò mai, non potrò mai «considerarlo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti» (FT 94).

Tutto il vangelo ci dice che mai uno sguardo di Gesù è andato a vuoto: ogni volta che ha guardato qualcuno, ha cominciato a prendersene cura. Ogni uomo e ogni donna da lui guardati hanno percepito come il loro dolore interferisse col suo essere e lo provocasse alla responsabilità, lo muovesse all’azione. «La tenerezza è l’amore che si fa vicino e concreto. È un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani» (FT 194).

Come sono i nostri sguardi? Con quale profondità guardiamo chi ci sta accanto? Vive solo ciò che riceve la nostra attenzione e muore ciò che non ne riceve. Il nostro vicino, la nostra consorella, i genitori, la nostra città difficilmente cambieranno. Ma può cambiare il nostro modo di guardarli. Gesù ci insegna che si può accogliere il bisbiglio di tutto ciò che è nascosto e talmente piccolo da sembrare irrilevante.

«È sempre una scelta aver cura del nostro sguardo, decidere da che parte e con quale attenzione puntare gli occhi, avendo fede abbastanza che la vita ci guidi. E il meglio sta nelle piccole cose, nei piccoli segni, nei piccoli miracoli che ognuno di noi sa fare» (Fra Giorgio Bonati).

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