Purché siano lontano dal peccato, ovvero la paternità spirituale

Con questo post concludiamo la lettura teologica di alcuni tratti ed episodi della vita di san Vincenzo Grossi che ci ha accompagnato durante l’estate. Lo facciamo soffermandoci sulla sua paternità spirituale che meglio di ogni altro aspetto si offre a tale lettura. Infatti la paternità secondo lo spirito, che ha cioè la sua sorgente in Dio ed è possibile solo per l’azione del suo Spirito, è stata, per don Vincenzo, il modo più normale di essere e di fare il prete e di stare in mezzo alla sua gente, specialmente la gioventù.

 

Dio ha creato l’uomo libero, cioè capace di prendere decisioni e iniziative, di fare il bene e di fare anche il male. Ma se non lo ha predeterminato al bene non lo ha nemmeno condannato a rimanere nel male commesso.

«Ad Efraim ho insegnato a camminare… tenendolo per mano» dice Dio per raccontare la relazione che ha voluto stabilire con il suo popolo.

È una immagine molto familiare, quella di qualcuno che prendendo per mano insegna a muovere i primi passi traballanti perché gradualmente si stabilizzino in una andatura sicura; ma è anche una metafora di quell’esperienza complessa e molteplice attraverso la quale viene indicato il cammino della vita senza essere abbandonati nell’euforia dell’indipendenza bensì accompagnati non più per mano ma con il cuore.

Don Vincenzo, ha avuto la mano e il cuore di un padre forte e tenero, per rassicurare e per dare la direzione da prendere ai fanciulli e ai ragazzi della sua parrocchia. Una mano che si concretizzava nello spazio informale dove la pedagogia passava attraverso un’accoglienza senza rigidità o divieti eccessivamente limitanti, e i ragazzi si formavano coscienze cristiane, solide e rette; una mano e un cuore che si esprimevano in un gesto o una parola forte che correggeva e che abbracciava nel perdono, che accoglieva e dava confidenza e fiducia.

L’iconografia di san Vincenzo Grossi lo rappresenta imperturbabile, sempre uguale a se stesso.  Pur essendo una sfaccettatura importante della sua personalità, non è stata preminente e nemmeno la più luminosa, perché anzi ha vissuto e soprattutto manifestato un altro aspetto che ha arricchito la sua vita, l’ha resa più attraente, ne ha fatto un parroco amabile e tenero: la paternità spirituale.

Don Vincenzo amava essere circondato dai ragazzi e dai fanciulli. La loro vivacità che spesso debordava e poteva superare il limite della pazienza di chiunque, per lui aveva un effetto contrario e prevaleva sulle  emicranie che lo colpivano abbastanza frequentemente, non perché era sopravvenuto un nuovo e più forte fastidio ma semplicemente perché gli dava pace il fatto che se stavano con, lui, erano lontani dal pericolo soprattutto morale.

Non erano mai abbastanza le ore della sera per intrattenersi con i giovani. Si preoccupava per loro, come succede a un padre che vuol tenere i figli lontani da luoghi o situazioni dannosi alla loro crescita umana e spirituale. Una preoccupazione che si esprimeva direttamente nel divieto di non andare, di non fare, di non condividere…, ma che di pari passo veniva accompagnata con alternative attraenti e propositive. Una pedagogia che attingeva alla storia Sacra della umanità, su su fino all’Eden quando Dio, insieme all’ordine di non mangiare dell’Albero, aveva chiesto di prendersi cura di ogni essere vivente che là vi si trovava, animale o vegetale. Poi purtroppo la seduzione ha prevalso, ma il progetto di Dio non si è interrotto, ha continuato attraverso i suoi profeti, grandi e piccoli, famosi o sconosciuti, veri padri nella fede, a fare di tutto perché il peccato non si rivelasse fatale per nessuno. Senza fare dell’enfasi gratuita, anche don Vincenzo appartiene a questa schiera per aver dato un apporto, pur limitato nel tempo e nello spazio, alla paternità di Dio.

Rispondi