Finché si è inquieti, si può stare tranquilli

La società attuale, caratterizzata da un forte soggettivismo e individualismo, vorrebbe limitare la fede nell’ambito del privato e nella sfera puramente personale. Ma papa Francesco – e prima di lui il Vangelo- è perentorio:

«Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale» (E.G. 183).

Così dev’essere per tutti e così è stato per San Vincenzo: nel suo ministero di parroco, si è incontrato e scontrato con le difficoltà della sua gente, in particolare del mondo giovanile, davanti alle quali non ha chiuso gli occhi, non si è limitato a un generico «prego per te, prego per voi» (cosa che per altro ha fatto con grande generosità e convinzione, senza mai scadere nello spiritualismo), ma si è lasciato provocare e INQUIETARE, proprio come sottolinea papa Bergoglio:

«Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra» (E.G. 183).

È proprio dalla fede autentica di Vincenzo e dalla sua inquietudine evangelica che nascono le Figlie dell’Oratorio. Nelle Prime Regole della nuova fondazione, scrive:

«Tutti vedono e deplorano i pericoli grandi a cui trovasi esposta la gioventù femminile delle campagne e delle città. Se guardiamo l’avvenire, esso si presenta ognor più triste e minaccioso […]» (Prime Regole).

Tutti. Tutti vedono. Tutti deplorano.

Ma chi fa qualcosa? Chi si mette in moto?

Chi prova a trasformare questo avvenire che si preannuncia triste e minaccioso?

Chi ha l’audacia di fermarsi e di non tirare dritto davanti ai pericoli che vivono le giovani?

Vincenzo sicuramente sì. Il suo cuore inquieto anela a cambiare le cose, a migliorare la loro situazione, a condividere con loro i valori che riempiono la sua esistenza e le donano senso. È consapevole che non può arrivare a tutti e dappertutto. Per questo, la fantasia della carità lo porta a dar vita all’Istituto. Ma il suo non è un progetto nato a tavolino, dall’alto, al contrario nasce dal basso. Come un novello Mosè, tutto inizia con quella decisione indispensabile: «Voglio avvicinarmi a vedere. Il Signore vide che si era avvicinato a vedere e Dio lo chiamò dal roveto» (Esodo 3, 3-4). Vincenzo vede, deplora, si lascia inquietare e si attiva:

«Per questi motivi si è cercato di dar vita all’Istituto Figlie dell’Oratorio, che ha per iscopo di dedicare i suoi membri al bene spirituale e anche corporale della gioventù femminile, specialmente nei luoghi più abbandonati nelle città e nelle campagne» (Prime regole).

Vincenzo non è stato un prete da sacrestia. Anzi, nella sacrestia di Regona ha messo in piedi la sua prima esperienza oratoriana, radunando proprio lì le ragazze per non lasciarle abbandonate a se stesse.

Finché in noi c’è il fremito del cambiamento e dell’inquietudine, è segno che siamo spiritualmente vivi e vitali, e questo ci aiuterà a non cadere nell’errore di cui parla il Papa:

«Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione» (E.G. 207).

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