“Come un albero piantato lungo un corso d’acqua”
Probabilmente l’associazione mentale che facciamo parlando di santità è eroismo, inteso come qualcosa di eccezionale, strepitoso, leggendario, favoloso.
La vita di don Vincenzo non aveva di certo nulla di leggendario e favoloso, termini che non a caso fanno riferimento alle leggende e alle favole. La storia dei santi, e dunque anche quella di don Vincenzo, non è una bella favola con tante peripezie ma con la certezza che la conclusione sarà inevitabilmente “e tutti vissero felici e contenti”, o una leggenda in cui non si capisce bene dove sta il confine tra realtà e immaginazione.
Don Vincenzo ha vissuto un’esperienza concreta, immerso nella realtà del suo tempo, con le sue luci e le sue ombre, realtà da cui non è fuggito e su cui non ha chiuso gli occhi, da cui si è lasciato forgiare e formare. L’ha scrutata e guardata in profondità, senza fermarsi alla superficie, con uno sguardo che si è sempre più affinato e divenuto più simile a quello di Dio sul mondo, sulle circostanze, sulle persone. Questo è un primo elemento che ci aiuta a capire meglio cosa sia la santità: imparare a vedere le cose con gli occhi di Dio e non solo con una veduta umana, orizzontale.
Come la nostra, anche l’esistenza di don Vincenzo è stata segnata da cose che “non dovrebbero esserci ma ci sono”. La sua epoca non era esente da fatiche, contraddizioni e difficoltà, ma egli non si lasciò intimidire o spaventare. Come l’albero descritto in Geremia 17, 7-8, questo sacerdote “confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena e non smette di produrre frutti”. Don Vincenzo rimane saldo in Cristo, affonda in Lui le sue radici ed è questo che gli permette non solo di rimanere in piedi, ma anche di portare frutto e essere segno concreto di speranza e fiducia per chi lo incontrava e per chi da lui stesso veniva cercato. I suoi parrocchiani ebbero a che fare con un uomo zelante e fervoroso, instancabile nell’opera di evangelizzazione e formazione cristiana e nella dedizione alla gioventù.
E questo è un secondo elemento che possiamo aggiungere al variegato puzzle che compone la santità: essere centrati in Dio e trovare in Lui il cibo e la bevanda che saziano la nostra fame e la nostra sete di senso e significato.
Ancora un elemento voglio prendere in considerazione, nella consapevolezza che non si può ridurre il tema della santità a poche parole. Per quanto segnata da ideologie nuove che diedero vita a cambiamenti storici significativi, l’esperienza di don Vincenzo si snodò in una totale semplicità e ordinarietà, fu contraddistinta da una quotidianità molto abituale e senza sussulti, vissuta lontano dai grandi centri abitati, nelle campagne cremonesi, in piccoli paesi, con un’economia che ruotava ancora intorno all’agricoltura e ai suoi ritmi lenti e tempi lunghi. È facile immaginare come le giornate iniziassero molto presto ma finissero anche molto presto, ed è altrettanto facile pensare che nelle lunghe serate di don Vincenzo, trascorse nella solitudine, magari davanti al tabernacolo, potessero far capolino la noia, il senso di inutilità, la sensazione di banalità e la fatica a tenere la rotta giusta nel proprio cammino.
Questo sacerdote non perse mai di vista il senso profondo della sua esistenza, che non era dato da tutto quello che faceva, ma in quello che lui era, cioè innanzitutto un figlio amato di Dio Padre. Don Vincenzo sapeva che la sua e altrui grandezza non risiedeva in qualcosa di esterno a lui, non se la dava lui con il suo agitarsi e col suo darsi da fare correndo a destra e a manca. Il segreto di don Vincenzo era la consapevolezza di essere un salvato, un redento da Cristo, un figlio amato di Dio. Questo gli ha permesso di vivere l’assoluta normalità e la forse noiosa quotidianità senza rivolgere lo sguardo a se stesso, rimanendo fedele alla sua vocazione, consegnato e offerto in dono ai suoi parrocchiani e alla sua gente.
una scelta quella di don Vincenzo condita dalla semplicitá e l’ordinarietá, io oso dire PERIFERICA, come il Maestro anche lui sposa la PERIFERIA, lontano dal centro, scegliendo la frontiera, il limite, attento e vicino a chi non conta, a chi non occupa il primo posto, al piccolo, al fragile; anche lui come il Maestro sceglie la Galilea.
Hai centrato il cuore di don Vincenzo: un prete tanto legato alla realtà del quotidiano da non apparire in nulla come un personaggio eccezionale. E noi, che illusi!!!… Consideriamo, invece, le eccezioni come le situazioni idonee per esprimere il meglio di noi, per finalmente convertirci, per gesti di grande ed efficace solidarietà, per annunciare ad effetto il Regno!