Un «burbero»… benefico

L’iconografia dei santi evidenzia normalmente la loro peculiarità. Quella di San Francesco racconta l’invito del Crocifisso di san Damiano a riparare la chiesa, di san Ignazio di Loyola gli esercizi spirituali, di santa Teresa d‘Avila la riforma del Carmelo, di santa Teresa di Lisieux la pioggia di rose dal cielo, di san Giovanni Bosco la cura dei giovani, di santa Teresa di Calcutta il servizio ai più poveri tra i poveri…

E le immagini di san Vincenzo Grossi che cosa raccontano di lui?

La sua iconografia lo rappresenta quasi sempre  «con le mani in mano», lo sguardo diretto fuori campo, una figura ieratica che spicca su uno sfondo di solito neutro, al massimo con le chiese di Regona e Vicobellignano alle spalle. Una iconografia che non lascia trasparire la sua ricchezza umana e spirituale, la sua originalità, al contrario lo ingessa sulla base di alcune espressioni ricorrenti nelle testimonianze «sempre uguale a se stesso».

C’è un quadro che lo rappresenta ad altezza d’uomo con alcuni bambini intorno, ma ha le mani strette sul catechismo, è molto serio in viso, accigliato, e sta ignorando gli sguardi dei bambini rivolti a lui, e la loro presenza.

Probabilmente «essere sempre uguale a se stesso» è stato interpretato come una forma di rigidità, di estraneità, di distacco, che gli impediva di lasciar trasparire qualsiasi sentimento.

Eppure don Vincenzo ha perso la pazienza, ha avuto paura, ha sentito il dolore, si è commosso davanti alla sofferenza degli altri, è rimasto impressionato dall’abbandono in cui si trovava la gioventù, si è dimostrato insofferente per le insistenze fuori luogo di qualcuno, è stato tollerante con gli ignoranti, ha sopportato il fracasso indiavolato dei bambini, ha resistito ai  borbottii della perpetua… ha accolto con cordialità chi cercava qualcosa da lui, soldi o consigli…, ha dedicato le serate ai giovani, ha macinato chilometri a piedi sentendone tutta la fatica o con mezzi di trasporto approssimativi per andare a predicare le missioni…, si è preso cura, in modo amorevole, delle prime suore.

L’immagine della porta sempre aperta della sua canonica è familiare nella sua esperienza, come quella della cucina, dove alla sera i suoi giovani trovavano istruzione e buona compagnia, e via via la sagrestia per la catechesi alle ragazze, la sala tolta ai confratelli per iniziare l’oratorio, poi l’oratorio con i suoi saloni e cortili.

Oggi con qualche ritocco informatico potremmo far sorridere don Vincenzo, dargli uno sguardo pieno di tenerezza e di compassione. Potremmo provare a ridisegnare le sue braccia e anziché strette a custodire il catechismo, aprirle all’accoglienza, come era di fatto nella realtà!

Ma si può correggere un dipinto fatto da lodevoli autori?

Ci resta una possibilità, dire a voce chiara: sarà anche stato sempre uguale a se stesso, persino burbero, ma non un solitario! La sua giornata era affollata di parrocchiani, di gioventù, di suore, di confratelli… come un giardino di fiori.

Evviva!

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