«70 non vescovi» negli ingranaggi ecclesiali

«Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10, 1). Forse è un paragone azzardato, ma la modifica apportata alla composizione dell’Assemblea Sinodale del prossimo ottobre richiama in qualche modo l’aggiunta fatta a suo tempo da Gesù di altri settantadue discepoli al gruppo dei dodici. L’Assemblea Generale del sinodo dei vescovi non vedrà tra le sue fila soltanto membri dell’episcopato, ma anche 70 non vescovi, di cui la metà dovranno essere donne. Inoltre, parteciperanno cinque religiosi e cinque religiose e non più dieci chierici appartenenti a Istituti di vita consacrata. Tutti costoro saranno membri effettivi dell’Assemblea, ne rappresenteranno il 25% e avranno diritto di voto.

Il Signore, nell’aggiungere i settantadue, fu spinto dal desiderio che la Parola data a Israele raggiungesse tutti i popoli; ugualmente, l’attuale allargamento dei numeri e della tipologia dei membri dell’assemblea «si pone in continuità con la progressiva appropriazione della dimensione sinodale costitutiva della Chiesa». Sembra strano che anche Gesù abbia allargato le maglie del suo cuore e gli orizzonti del suo sguardo, prima chiuso solo su Israele e poi via via inglobante tutti i popoli della Terra, ogni uomo e ogni donna, a qualunque tribù, lingua, popolo e nazione appartengano. Ma anche lui ha avuto bisogno di crescere nel discernimento e nella comprensione del sogno di Dio per l’umanità.

Il Sinodo dei vescovi fu istituito da Paolo VI, che da subito ebbe chiaro che «come ogni istituzione umana, con il passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato». Così questa scelta sinodale segna un avvicinamento della Chiesa all’immagine di sé stessa maturata durante il Concilio Vaticano II, una chiesa semper reformanda, Popolo di Dio in cammino, in cui ognuno può trovare spazio per parlare ed essere ascoltato, in cui anche la parola dei laici e delle donne e dei «non vescovi» porta all’edificazione del corpo ecclesiale e alla maturazione di un modus vivendi sempre più evangelico.

Questa modifica ha suscitato reazioni di segno opposto tra loro: per qualcuno è un attacco alla «vera struttura ecclesiale, piramidale e gerarchica», dunque un passo azzardato e non fedele al Vangelo. Altri non esitano nel dire che il passo invece è troppo piccolo, si poteva osare di più. Altri ancora riconoscono in questa scelta una svolta importante, un mattoncino che si aggiunge alla costruzione di una chiesa sempre più sinodale, quel granellino di sabbia che si pone negli ingranaggi secolari della gestione dell’autorità e delle dinamiche decisionali nella Chiesa per incepparne le rigidità e le derive autoreferenziali.

Le leggi della fisica dei sistemi dicono che la variazione introdotta in una componente si ripercuote tanto sul funzionamento di tutto il sistema quanto sul comportamento delle altre componenti. Per analogia ci piace credere che la variazione portata dai nuovi membri elettori (uomini e donne, laici e laiche) per quanto numericamente piccola, abbia la possibilità di ripercuotersi non solo sul funzionamento dell’assemblea del sinodo dei vescovi, ma su tutto il sistema ecclesiale, per farlo ulteriormente crescere nella corresponsabilità e nel coinvolgimento di tutti i soggetti e ministeri. E per passare – chissà – dal Sinodo dei vescovi al Sinodo del Popolo di Dio.

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