Mediocrità spirituale, comodità mondana e superficialità

Nell’udienza generale dell’8 febbraio u.s. papa Francesco ripercorre con gratitudine e apprensione il suo viaggio nella Repubblica democratica del Congo e in Sud Sudan. Sono molti gli incontri vissuti e le testimonianze raccolte dal Pontefice. Ci soffermiamo con una attenzione speciale su quanto detto nell’incontro di preghiera con i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate e i seminaristi svoltosi nella cattedrale di Kinshasa nel giorno in cui la Chiesa fa grata memoria della vita consacrata.

Sono tre le provocazioni che papa Francesco indica per non vivere la vocazione come un «un mestiere per guadagnare o avere una posizione sociale, e nemmeno per sistemare la famiglia di origine, ma come missione ad essere segni della presenza di Cristo, del suo amore incondizionato, della compassione con cui vuole prendersi cura dei poveri». Queste sfide sono «la mediocrità spirituale, la comodità mondana e la superficialità».

La mediocrità spirituale è quella sottile tentazione che porta a credere che la preghiera, in mezzo alle mille cose che abbiamo da fare e nei mille fronti su cui siamo impegnati, sia una perdita di tempo. Francesco ci ricorda che «occorre riservare ogni giorno un tempo intenso di preghiera, per stare cuore a cuore con il Signore: un incontro intimo con Colui che amiamo sopra ogni cosa. È la preghiera che crea in noi lo spazio per sperimentare la vicinanza di Dio, perché la sua Parola diventi familiare a noi e, attraverso di noi, a quanti incontriamo. Senza preghiera non si va lontano»

La comodità mondana è quello stile di vita in cui si va avanti per inerzia, senza grandi sussulti o scossoni, da cui invece ci si vuole preservare. «Ma in questo modo si perde il cuore della missione, che è uscire dai territori dell’io per andare verso i fratelli e le sorelle esercitando, in nome di Dio, l’arte della vicinanza. È triste, molto triste quando ci si ripiega su sé stessi diventando freddi burocrati dello spirito».  Sono parole che possono stimolarci a pensare al modo di vivere i voti di povertà, castità e obbedienza: il rischio di trasformarli in zone di confort c’è, anziché viverli come trampolini per servire il Vangelo e i fratelli. I religiosi «dovrebbero essere modelli di sobrietà e di libertà interiore. Che bello mantenersi limpidi nelle intenzioni e affrancati da compromessi col denaro, abbracciando con gioia la povertà evangelica e lavorando accanto ai poveri! E che bello essere luminosi nel vivere il celibato come segno di disponibilità completa al Regno di Dio!».

«La terza sfida è vincere la tentazione della superficialità» e la via proposta da Francesco è quella della formazione permanente vissuta con serietà e impegno, nella vita spirituale e nella preparazione teologica. Non si può non rimanere aperti e attenti ai movimenti interiori ed esteriori che viviamo e in cui siamo immersi, non possiamo vivere di rendita con una teologia ferma e statica e con una vita spirituale devozionistica o poco incline all’ascolto profondo di sé e degli altri. «Siamo tenuti a entrare nel cuore del mistero cristiano, ad approfondirne la dottrina, a studiare e meditare la Parola di Dio; e al tempo stesso a restare aperti alle inquietudini del nostro tempo, alle domande sempre più complesse della nostra epoca, per poter comprendere la vita e le esigenze delle persone, per capire come prenderle per mano e accompagnarle. La formazione non è un optional».

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