Tristezza (per favore vai via!)

Al secondo rischio a cui siamo esposti – la negatività e la tristezza – la Gaudete et Exsultate propone come «antidoto» la gioia e il senso dell’umorismo. Il santo è colui che «illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza» (G. E. 122). In questo, noi, Figlie dell’Oratorio, abbiamo un maestro d’eccezione nel nostro patrono San Filippo Neri, il santo dell’allegria, che ha davvero illuminato i giovani del suo tempo con la testimonianza della sua fede gioiosa.

Al  n. 125 la Gaudete et Exultate si dice che «ci sono momenti duri, tempi di croce». È ovvio che la gioia cristiana non nasce dal chiudere gli occhi sulle difficoltà e sulla complessità della vita, a volte così ingarbugliata e faticosa. Sarebbe illusorio pensare che questa gioia sia la mera conseguenza dell’assenza di preoccupazioni o impedimenti. Lo stesso numero prosegue sottolineando che «niente può distruggere la gioia soprannaturale, che si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. È una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza che offre una consolazione spirituale incomprensibile secondo i criteri mondani».

«Il segreto della gioia è l’abbandono», diceva il nostro Fondatore. Se manca la gioia, non è perché ci siano condizioni esterne a noi che ce la tolgono, ma è perché non viviamo fino in fondo l’abbandono a Dio, quell’atteggiamento che ci libera dalla schiavitù dei nostri umori e dei nostri stati d’animo, spesso instabili come una piuma sbattuta dal vento, per affidarci a Lui, la roccia salda descritta nel post precedente. 

«Il malumore non è un segno di santità. È così tanto quello che riceviamo dal Signore perché possiamo goderne che a volte la tristezza è legata all’ingratitudine, con lo stare talmente chiusi in sé stessi da diventare incapaci di riconoscere i doni di Dio» (G.E. 126).

Sant’Ignazio, nelle sue regole per il discernimento, ha ben approfondito i movimenti che avvengono nel nostro intimo, riconoscendo nella tristezza – che lui chiama desolazione – una delle armi più pericolose del «Maligno», con cui ci attacca per impedirci di camminare spediti sulla via del Vangelo: «È proprio dello spirito cattivo rimordere, rattristare, creare impedimenti, turbando con false ragioni affinché non si vada avanti», suggerendo che non siamo capaci, che per noi è troppo, che non ce la facciamo, facendoci perdere coraggio, perdere quota, infondendo tristezza e malinconia. È una desolazione che inquieta l’anima, la rende sfiduciata, senza speranza, senza amore, pigra, come separata dal suo Creatore. È indispensabile saperla  riconoscere, per combatterla e contrastarla ed evitare che ci assalga e divori. Proprio qui viene in aiuto il senso dell’umorismo di cui parla Francesco al numero 126, con cui siamo chiamati a guardare il male che abbiamo dentro: anziché lasciare spazio al vittimismo che ci porta ad autocompiacerci nel nostro sconforto, è bene invece muoversi in direzione opposta a quella che queste voci negative ci indicano, ridimensionandole e ridicolizzandole, con un sorriso e tanta ironia. San Vincenzo esortava: «Invece di lasciarvi vincere dalla melanconia, servite il Signore nell’allegrezza, che deriva dalla quiete dell’anima, che dilata il cuore e rende lo spirito più alacre nella virtù».E San Filippo, qualche secolo prima, incalzava: «Non voglio scrupoli, non voglio malinconie. Scrupoli e malinconie, lontani da casa mia!»

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