La pastorale delle suore

Non mi sono preoccupato di stilare il progetto apostolico della nuova fondazione, per poter dare visibilità, perché queste comunità che si stavano diffondendo erano la continuità della pastorale parrocchiale, così come la percepivo e come la vivevo. Nella espressione che scrissi nelle prime Regole «fare qualcosa in aiuto ai parroci per la gioventù» c’era dentro  tutto.

Non pensai mai a suore che collaborassero in parrocchia con me, al mio fianco; infatti provvidenzialmente e fin dall’inizio l’orientamento fu sempre diffusivo ed espansivo. La parola chiave era: collaborazione.

Infatti le suore non furono e non dovevano essere promotrici di  attività inedite. In questa prospettiva il mio progetto poteva apparire povero, troppo semplice per avere una sua originalità. Eppure in questo mettersi al servizio della parrocchia, c’erano le indicazioni perché le suore potessero svolgere quelle attività che costituivano l’impegno educativo e formativo della parrocchia come la catechesi, l’oratorio festivo, la scuola di lavoro per le ragazze, i dopo scuola, la scuola materna privata parrocchiale e pubblica e i Ritiri alle operaie. La creatività e l’innovazione  dovevano esprimersi nello stile.

Fin dai tempi del Seminario la figura di san Filippo Neri mi aveva attirato per la simpatia del suo carattere, la spiritualità senza tanti fronzoli ma soprattutto per la modalità con cui svolgeva l’ apostolato.

Anche se per gli inizi avevo proposto la forma di vita delle Orsoline di s. Angela Merici, di fatto però avevo cercato di orientare la fondazione ispirandomi a san Filippo Neri. Qui si trova anche la ragione della scelta del nome di figlie dell’Oratorio che ho dato alle suore. Una paternità, quella dell’Oratorio non di immediata comprensione. Infatti, il nome non è da ricondurre allo spazio fisico in cui sarebbero state chiamate ad operare in modo privilegiato, ma al grande  Padre dell’Oratorio, a san Filippo Neri, alla sua esperienza spirituale e apostolica, meglio alla spiritualità dell’oratorio filippino intesa come promozione della cultura cristiana e come costruzione della coscienza cristiana nelle persone. Non intendevo proporlo come modello perché ripetessero le sue iniziative, ma per lo stile con cui le svolgeva, la semplicità, l’umiltà e la gioia, e soprattutto perché nella sua vita, come nella sua pedagogia, aveva coniugato l’ascesi con la familiarità della vita quotidiana, eliminando ogni aspetto di rigore e di austerità.

In questa armonica unificazione trovavo lo spunto per invitare le suore a non giudicare la dissipatezza delle giovani come un impedimento a raggiungerle, al contrario doveva essere la motivazione per incontrarle nei luoghi dove vivevano e per cercare di mantenersi in continuo contatto con loro.

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  1. Mi colpiscono molto le espressioni “collaborazione” e “mettersi al servizio della parrocchia”.
    La prima significa partecipazione attiva, lavorare insieme, forse anche “elaborare insieme”. E la seconda, credo non ci sia bisogno di spiegarla, però dice dove viene indirizzata la collaborazione: alla parrocchia! Questa è la nostra missione! Ogni volta che portiamo avanti iniziative che non promuovono la collaborazione con la parrocchia e il servizio ad essa, siamo fuori da quanto pensava san Vincenzo! Forse senza collaborare con i parroci e con gli operatori pastorali, lavorando sole, si possono metter in piedi iniziative pregevoli e belle… ma non carismatiche! Il carisma originario dice chiaramente qual è il nostro posto e il nostro compito nella chiesa! Spendiamo lì le (poche) forze che abbiamo a disposizione!

  2. Vedo il “mettersi al servizio della parrocchia” non come servizio esclusivo ai parroci e/o agli operatori pastorali. La parrocchia non è composta dal parroco e da qualche laico a cui è stato dato un incarico. Per me la parrocchia è composta da persone e famiglie. Il Mettersi al servizio della parrocchia lo vedo li, al servizio di quelle persone e famiglie. In particolare mettersi al servizio di chi più vive situazioni di difficoltà e fragilità. Se si considera il solo servizio ai parroci e/o operatori pastorali, l’impegno finirà presto. La chiesa giapponese ha molto da insegnare in questo senso: per ben 800 anni non hanno avuto un sacerdote eppure la fede si trasmise di generazione in generazione. Don Vincenzo vi aiuti a meditare la realtà di oggi ed a compiere scelte coraggiose in fedeltà al carisma e non ha schemi creati nella vostra storia

  3. Uno stile di vicinanza, di prossimità, di essere in mezzo, di stare nei luoghi dove i giovani abitano… comporta una scelta di incarnazione in profonda sintonia con i modi, i criteri e i gusti del Maestro; vuol dire camminare per strada, cercare il contatto umano, dedicare del tempo…. E’ una pastorale che privilegia l’incontro, fatta di gesti piccoli e semplici…, una pastorale destrutturata….non è fatta a tavolino, programmata nelle riunioni…; é una pastorale che esce per strada, in continuo movimento, per raggiungere la gioventù. Leggere queste parole mi riempie di meraviglia nel vedere la capacita di san Vincenzo di leggere “il bisogno”, di riconoscere i modi e le forme concrete per poter vivere il servizio al vangelo…. Leggere queste parole mi provoca, mi interroga nel cercare di vivere il carisma in fedeltà alle intuizioni originarie….chiedo la grazia al nostro Fondatore di donarci la “creatività e il coraggio” proprio che nascono dall’amore che non sta mai fermo e cerca in tutti i modi di raggiungere l’altro affinché si senta amato e salvato.