L’ascolto in don Vincenzo: un esercizio pratico di sinodalità

«Agli inizi di ogni nuova esperienza carismatica si trova un gruppo, generalmente piccolo, di uomini e di donne che, legati in uno stretto vincolo di comunione tra di loro, sono animati da un profondo e unico ideale che sanno tradurre in forme particolarmente dinamiche e intraprendenti» così scriveva qualche giorno fa nel suo blog il teologo Fabio Ciardi (qui).

È un’affermazione, questa, che rispecchia bene l’esperienza delle origini anche del nostro Istituto. Infatti la presenza delle prime suore nella esperienza di don Vincenzo Grossi come fondatore non è stata solo «funzionale» alla concretizzazione del suo progetto, ma ha avuto un ruolo determinante nell’approfondimento e chiarificazione del carisma stesso. Le prime suore, infatti, sono state per don Vincenzo interlocutrici imprescindibili, uno «status di fatto», questo, generato sin dall’inizio quasi spontaneamente, sulla base di una attenzione comune alla cura pastorale della gioventù e alla collaborazione con i parroci, ma che in seguito è stato coltivato e promosso come stile.

Si è trattato di una reciprocità che si è espressa principalmente nell’ascolto, non nella dimensione di maestro-discepolo, padre e figlia spirituale, anche se tra don Vincenzo e le suore c’è stata una autentica relazione di paternità spirituale. Nella relazione con le prime discepole, l’ascolto si esprimeva nella presa in carico reciproca delle intuizioni, delle considerazioni, delle valutazioni che di volta in volta gli interlocutori proponevano e mettevano a confronto.

La relazione di don Vincenzo con le prime suore era fondata su una profonda intesa nel senso più ampio del termine. L’episodio della Cipelletti che ha abbandonato il progetto con alcune suore a lei fedeli, dopo che don Vincenzo l’aveva sostituita nel compito di superiora, lascia intendere che ella si considerava la depositaria della iniziativa suggerita da don Vincenzo e in grado di portarla avanti senza dover avere in Lui alcun riferimento. Era un orientamento che  annullava a priori il confronto, ogni possibilità di relazione, posizione distante da don Vincenzo che intendeva muoversi in stretta collaborazione con quante avevano condiviso la sua proposta. Non è superfluo ricordare qui che il termine fondatore va comunque riservato in senso pieno a colui che riceve l’ispirazione e dà l’anima al gruppo. Don Vincenzo, pertanto, era e rimane unico anche dopo la sua morte. Vi è «trasmissione» del carisma, non trasmissione della missione di fondatore.

È innegabile perciò che le prime discepole di don Vincenzo siano state formate da lui e in un certo senso dipendessero da lui, ma è altrettanto innegabile che la sua intuizione abbia avuto bisogno della esperienza delle suore e del loro contributo sul campo, nei contesti parrocchiali, nell’incontro con le giovani, per capire a che cosa dare priorità nella collaborazione ai parroci, come concretizzare il servizio di formazione alle giovani nelle parrocchie rurali, come organizzare la vita di comunità, se, come e dove espandersi…

Il testo della prima Regola approvata, nella sua essenzialità lascia spazio alla massima creatività delle suore nella cooperazione. Don Vincenzo non aveva definito le attività da svolgere, ha dato una idea, quella della collaborazione; non ha imposto neppure una spiritualità particolare, ma ha caldeggiato quella che lui viveva, impregnata di cristologia, ecclesialità e pastoralità, quella della vita parrocchiale.

Nella corrispondenza con alcune suore, si coglie il discernimento che egli mette in atto quando deve decidere per la scelta di una parrocchia o di una attività, e lo fa proprio attraverso uno scambio fittissimo di lettere, colloqui, consultazioni. Invita le suore a parlarne a voce o andando da lui in canonica o quando lui sarà di passaggio in qualche paese. La sua preferenza è per lo scambio di persona sia di informazioni che di considerazioni. Ascolto per lui non è semplicemente dare all’altra la possibilità di uno sfogo o considerarla una esecutrice di quello che lui sta per comunicare, bensì è una opportunità imprescindibile per sé e per l’altra di accogliere ispirazioni o illuminazioni, raccogliere informazioni, considerarle tutto nella preghiera e nello scambio, e poi arrivare ad una conclusione.

Don Vincenzo, nelle relazioni con le suore non ha toni paternalistici, né di accondiscendenza e meno ancora di compiacenza, neppure con quelle che più da vicino condividono con lui la responsabilità del nuovo progetto. Scuote quella che ha un carattere malinconico, minaccia provvedimenti a un’altra che è cocciuta e capricciosa, invita l’orgogliosa e la superba a ravvedersi seriamente, sollecita la pigra e o chi è ripiegata su se stessa. Smaschera quando vede che la sua interlocutrice è manipolata dal parroco, o da altri o nasconde secondi fini.

Nella corrispondenza, se pure per riflesso, si intravedono le lamentele delle suore, come le richieste, i suggerimenti e anche qualche dissenso, i tentativi di manipolazione come la fiducia trasparente, ma sono costanti e messe in luce la lungimiranza e l’ardire piuttosto che la paura del nuovo.

Nei suoi scritti, sia riguardo le singole suore, sia le opere svolte, l’apertura di nuove case o la eventuale chiusura di qualcuna, l’accoglienza di nuove candidate come la necessità di dimettere le inadatte, non emerge un potere assoluto, ma la volontà di parlarne, di soppesare le varie voci, e di mettere a confronto le diverse informazioni, prima di arrivare ad una decisione.

Don Vincenzo nella attuazione progressiva della nuova fondazione, nella relazione con le suore, senza camuffare o sminuire la sua missione di fondatore, quindi di guida e padre spirituale, ha lasciato che le suore potessero esprimere la loro creatività non come fantasia libera, ma come capacità di farsi carico delle diverse intuizioni, prima fra tutte quella del fondatore

È stato un passaggio molto delicato ma molto importante, quello cioè in cui il carisma del Fondatore è stato condiviso con le prime discepole e da loro fatto proprio, non nel senso che lo hanno sottratto a Lui, come invece pensava la Cipelletti, ma se ne sono fatte carico e lo hanno progressivamente incarnato, come interlocutrici e non come suddite.

“Ne parleremo. Intanto scrivendomi, mi puoi dire il tuo pensiero”: erano le parole con cui spesso concludeva le sue lettere.

Quanta sinodalità autentica, fatta di attenzione al pensiero delle suore!

È facile immaginare che cosa generava nelle suore il sapere che a don Vincenzo stava a cuore conoscere il loro pensiero. Non era un mezzo per tenerle sotto controllo ma la consapevolezza che nella mente e nel cuore di ciascuna poteva cogliere i semi della presenza dello Spirito che stavano germogliando.

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