Don Vincenzo interlocutore del suo tempo

Ricordiamo oggi l’anniversario della nascita di Vincenzo Grossi.

Ricordare la nascita di un personaggio – e don Vincenzo per noi FdO è stato fondatore, più che «freddo personaggio»! -, è puro rito se non si riporta all’oggi la peculiarità della sua esistenza. Se così non fosse, perché continuare a chiamare maestri, padri e fondatori quanti, pur significativi, sono molto lontani da noi nel tempo?

Il suo biografo, don Carlo Bellò, ha sempre sostenuto che don Vincenzo non si è lasciato coinvolgere dai fatti a lui contemporanei, dai conflitti e dalle polemiche tra Chiesa e Stato, tra religione e politica e dalle correnti che sfibravano la stessa Chiesa.

Se la sua famiglia era stata scelta dalle autorità locali per ospitare alla loro mensa il Re e i suoi stretti collaboratori mentre erano di passaggio a Pizzighettone con le truppe, è da escludere che fosse anti governativa, come non era nemmeno antipapista. I Grossi erano considerati e stimati per lo spirito di intraprendenza più che per gli orientamenti politici e per le correnti ecclesiali, dai quali erano estranei.

Don Vincenzo è cresciuto in questo contesto per cui, quando le circostanze e gli eventi, anche tragici, potevano esigere da lui uno schieramento, non si è esposto, non si è dichiarato. Non è stato un personaggio di punta come invece lo erano il suo grande amico don Pietro Trabattoni promotore delle leghe bianche dei contadini, o don Corbari giornalista dalla penna graffiante.

Non poteva, però, passare in mezzo alle cannonate e rimanere illeso. Nonostante la sua quasi naturale neutralità, si è guadagnato la fama di essere in conflitto col Vescovo Bonomelli a motivo di correnti politche, si racconta che nelle riunioni zonali del clero veniva provocato a pronunciarsi sulle scelte del nuovo Regno di Italia o del Papa, ma senza esito, e che nel periodo estivo sono stati sottratti alla sua custodia i seminaristi della parrocchia a motivo del suo reale o presunto disaccordo con la formazione un po’ liberale del Seminario.

Dice bene Bellò: don Vincenzo non si è schierato a destra o a sinistra, ma ha scelto una terza via, quella di aiutare la popolazione che, a motivo delle controversie ideologiche, era stata abbandonata.

Non era quindi estraneo al suo tempo, ma al contrario è stato così attento alla storia, che ha cercato di ricomporre i cocci là dove Stato e Chiesa non si erano fatto riguardo a provocarli. A Regona, promuove una pastorale che senza essere conflittuale, contrasta e dissolve la diffusa cultura massonica e a Vicobellignano, con la stessa strategia, cerca di ridurre l’influsso dei protestanti metodisti. E allo Stato che con le sue leggi liberali vuole le scuole pubbliche acattoliche ed eliminare l‘opera dei religiosi, risponde preparando insegnanti laiche (religiose nel cuore) che entrino nelle scuole pubbliche ed organizza luoghi aperti di aggregazione e di formazione umana e cristiana per la gioventù.

Si può ancora pensare a un don Vincenzo apolitico? Sicuramente antiideologico, ma profondamente politico, cioè interessato al bene delle persone.

L’esperienza umana e pastorale di don Vicenzo offre oggi un paradigma sulla base del quale leggere il nostro contesto storico ed ecclesiale. Lui ha trovate le strade che poteva percorrere, ha messo in campo risposte…senza lasciarsi prendere da un senso di inadeguatezza, così come non ha optato per l’omologazione.

I contesti come gli eventi sociali ed ecclesiali attuali non sono meno questionanti rispetto al passato, ma riescono a sfondare le porte dell’incertezza, del disorientamento, della paura del rischio dell’inedito?

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