Lussuria e castità

Da alcune settimane, nelle catechesi del mercoledì il papa sta analizzando i sette vizi capitali. In quella del 17 gennaio u.s. ha preso in esame la lussuria, che ben si aggancia al tema della castità, che quest’anno noi Figlie dell’Oratorio vogliamo riscoprire e approfondire. Ma dove sta il collegamento tra queste due realtà opposte e tanto diverse tra loro?

La lussuria è «una sorta di “voracità” verso un’altra persona, cioè il legame avvelenato che gli esseri umani intrattengono tra di loro, specialmente nella sfera della sessualità».

Una delle conseguenze più drammatiche di questo vizio è che «devasta le relazioni, trasformandole in relazioni tossiche, di possesso dell’altro, prive di rispetto e del senso del limite» anziché in opportunità di crescita e di reciprocità. Francesco afferma che questo è ciò che succede quando «manca la castità: virtù che non va confusa con l’astinenza sessuale, bensì va connessa con la volontà di non possedere mai l’altro». Noi persone consacrate abbiamo fatto voto di castità, che, a differenza degli altri stati di vita, oltre alla volontà di non possedere porta con sé anche la dimensione dell’astinenza. Cosa significa aver fatto questa scelta? Non certo una vita affettiva fredda e distaccata, timorosa del contatto e della relazione con l’altro, chiusa in una torre di avorio intoccabile e irraggiungibile, così disabituata ad ogni affetto tanto da non saper più amare. Queste sono derive del voto di castità, come lo sono anche il servilismo per interesse e tutti quei calcoli rivolti verso il proprio io, l’incapacità a essere ciò che si è senza l’approvazione e il plauso degli altri (magari dei superiori), o ancora ridurre il proprio orizzonte ai propri bisogni, soddisfatti i quali non c’è altro a cui pensare. «La lussuria depreda, rapina, consuma in tutta fretta, non vuole ascoltare l’altro ma solo il proprio bisogno e il proprio piacere. Il lussurioso cerca solo scorciatoie: non capisce che la strada dell’amore va percorsa con lentezza, e questa pazienza, lungi dall’essere sinonimo di noia, permette di rendere felici i nostri rapporti». Una persona consacrata non è preda della lussuria solo se cede alle «lusinghe della carne». Non necessariamente la persona lussuriosa usa l’altro da sé solo per i suoi piaceri sessuali. La castità (e dunque anche il voto) deve portarci a un’attitudine di profonda apertura agli altri, a maturare la consapevolezza che tutti «hanno diritto» sulle persone consacrate di esigere appoggio, ascolto, comprensione, affetto. Se la castità è motivo di lontananza dalle necessità anche affettive dei fratelli e delle sorelle, allora non è castità. Il cuore di chi ne fa voto è uno spazio aperto, casa di tutti, in cui tutti hanno diritto di entrare, e questo proprio a motivo del voto, che abilita il cuore alla totale consegna di sé.

«Vincere la battaglia contro la lussuria, contro la “cosificazione” dell’altro (e dunque essere persone caste), può essere un’impresa che dura tutta una vita. Però il premio di questa battaglia è il più importante in assoluto, perché si tratta di preservare quella bellezza che Dio ha scritto nella sua creazione e che ci fa credere che coltivare la tenerezza è meglio che piegarsi al demone del possesso – il vero amore non possiede, si dona –, servire è meglio che conquistare. Perché se non c’è l’amore, la vita è triste, è triste solitudine».

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