Gli ozii estivi di san Vincenzo

UmbertoEco leggeDurante i mesi invernali, i pomeriggi e le serate nella canonica di don Vincenzo erano affollati di bambini fracassoni e di giovani in cerca di compagnia. D’estate, però, la canonica si faceva deserta: il pomeriggio perché la canicola teneva tutti grandi e piccoli in casa o nelle cascine, e la sera perché i bambini avevano il tacito consenso dei genitori di poter giocare nella piazzetta o in strada sotto casabambini-che-giocanopallone e  i giovanotti si concedevano la libertà di girovagare per il paese sostando qua e là soprattutto dove nei filòs (crocchi di persone ) erano presenti anche le ragazze a cui erano interessati.

Don Vincenzo, da parte sua, amava e aveva cura di questi tempi di silenzio che l’estate  gli donava. Nella penombra del suo studiolo che dava un leggero senso di frescura o nella luce opaca che di sera la lucerna  diffondeva con parsimonia, il parroco cedeva il passo allo studioso e sulla scrivania apparivano libri dai titoli altisonanti.libri antichi

Questo era il tempo che dedicava a se stesso, alla sua sete di conoscenza, e lo faceva non intrattenendosi pigramente sui quotidiani o settimanali locali ma spaziando ben oltre gli argomenti legati al piccolo territorio della  provincia.

Questi  testi  li aveva in prestito dal fratello don Giuseppe che volentieri  condivideva con lui , come ai tempi di Gera d’Adda, riflessioni e opinioni su temi  anche non strettamente pastorali. C’era un libro sul Teatro moderno, un altro sul Giansenismo, sulle opinioni che agitano il secolo a lui contemporaneo…e  riviste di cultura generale.

Sicuramente non avrebbe mai avuto l’opportunità di parlare di teatro ai suoi fedeli o di fare con loro disquisizioni sul giansenismo, ma considerava la cultura generale non una pura e inutile teoria bensì un esercizio necessario per mantenere allenata e aperta la mente al nuovo anche ad ulteriori ed  eventuali temi di teologia e di pastorale.

 

Una cultura  obsoleta avrebbe potuto impoverire il suo pensiero e svuotare la sua creatività e lungimiranza. Considerava  l’intelligenza un talento ricevuto e da far fruttare, e pertanto la sua formazione  era una  esigenza personale e  una manifestazione di  rispetto  per i fedeli affidati alle sue cure.

Per questo occupare il suo tempo nello studio lo considerava non un ozio estivo ma una dimensione del suo ministero.

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  1. Creatività, lungimiranza, intelligenza……. prendersi cura della propria formazione, coltivare uno sguardo e uno spirito aperto a tutto quello che si “muove” nella realtà delle persone è un modo concreto di “incarnazione”, dell’essere preparati per la evangelizzazione, per poter avvicinare l’uomo alla buona notizia…..Che san Vincenzo ci doni la grazia di essere “nel mondo e non del mondo”……appassionati alla vita dell’uomo e portatori del vangelo!

  2. Quando si parla di santi, come lo è San Vincenzo, è facile cedere alla tentazione di pensarli come persone staccate dalla realtà, un po’ disincarnate, perché tutte prese dalle “cose di Dio”. È bello invece constatare anche da questa testimonianza che la santità ha strettamente a che fare con l’umanità, col nostro essere uomini e donne del nostro tempo. La santità non è rinuncia all’essere pienamente uomini, ma è proprio la strada per far sbocciare in pienezza la nostra persona, per farla capace di guardare tutto con uno sguardo puro, per gustare ogni cosa come dono di Dio….e scoprire che non esistono le “cose di Dio” e le “cose degli uomini”, ma che tutto è nostro è noi siamo di Dio!