Sinodo e donne

Condividiamo l’intervista che il direttore del giornale “La voce di Prato” ha fatto a suor Federica Tassi. L’intervista è già stata pubblicata appunto su tale giornale in data 15 ottobre u.sc..

1. Il ruolo delle donne nella Chiesa è uno tra gli argomenti al centro del Cammino sinodale. Quali aspettative ci sono? I tempi sono maturi per un reale cambiamento?

È evidente che negli ultimi tempi, in particolare con papa Francesco, si sia accesa la luce sulla presenza della donna nella Chiesa. Si sono fatti passi avanti, qualche fessura si è aperta, ci sono timidi segnali che qualcosa sta cambiando e mi sento di dire che il cambiamento è irreversibile. Ci sono lentezze e battute d’arresto, ancora molte resistenze, soprattutto da parte del clero. Ma non si può più tornare indietro. Dal mio punto di vista, i tempi non sono ancora maturi per un cambio di passo netto, non riducibile a qualche piccolo aggiustamento. Ma, come dice papa Francesco, si è avviato – finalmente – un processo. Mi auguro che prima o poi ci si accorga che la chiesa già da ora appartiene anche alle donne, non come gentile concessione degli uomini, ma perché è oggettivamente ed evangelicamente così. Percepisco molta preoccupazione, certamente sincera, per capire dove devono collocarci, quali compiti affidarci; ma non siamo un accessorio a cui bisogna trovare un posto, magari anche senza chiederci un parere. Bisogna andare oltre.

2. Quale ruolo ha la donna oggi nella Chiesa?

Ho l’allergia alla parola «ruolo». Il vangelo non parla mai di ruoli, di organizzazione o di programmi. Parla di persone, coi loro drammi e le loro speranze, di un certo stile di vivere le relazioni, sia personali che sociali, parla di figliolanza e fraternità. Noi invece siamo preoccupati dei ruoli, di chi fa cosa. Spendiamo le nostre energie per tenere in piedi strutture che non è detto siano secondo il Vangelo. Possiamo distribuirci i compiti e le cose da fare, ma quel che conta è viverli secondo uno stile evangelico. Paradossalmente, potremmo anche arrivare all’ordinazione delle donne, o a definire quali ministeri devono ricoprire, ma se queste lo vivranno in modo clericale, non avremo risolto nulla. Il punto è la ricerca della comunione e i ministeri devono essere orientati a questo, non a spartirsi il potere. Detto ciò, resta vero che la chiesa non può più non riconoscere alla donna pari dignità e pari diritti. È una questione di giustizia, non di concessioni ed è fondamentale farlo. In gioco non ci sono solo le donne, ma l’autorevolezza e la credibilità di tutta la chiesa.

3. Si deve ambire a una parità, tra uomo e donna, oppure è più importante che emerga la specificità del ruolo femminile all’interno della comunità ecclesiale?

Io credo che la cosa urgente sia riprendere coscienza della comune ministerialità che ci viene conferita nel battesimo. Nel corso dei secoli la grazia battesimale è stata sminuita e sottovalutata per cui molti battezzati e battezzate nemmeno sanno di essere re, sacerdoti e profeti, cose che sembrano appannaggio dei soli presbiteri. Una Chiesa che non assume fino in fondo la dignità battesimale delle donne non è fedele al Vangelo. Le parole di Paolo ai Galati sono spesso dimenticate o eluse: Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina, poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,26-28). Che si prenda atto che c’è un’oggettiva parità valoriale tra uomini e donne non preclude la possibilità di far emergere le specificità degli uni e delle altre, tenendo però ben presente che nel battesimo vengono superate e sconfitte le discriminazioni etniche e culturali, quelle sociali e di genere.

4. Quali «attenzioni» devono avere gli uomini nell’affrontare questa tematica? E le donne?

Forse un’attenzione da maturare da parte degli uomini, in particolare quelli che compongono la gerarchia, è quella di mettersi davvero in ascolto, smetterla di parlare delle donne ma iniziare ad ascoltarle, non vederle come una questione da risolvere ma prender atto della loro presenza e della loro voce. E poi credo sia giunto il momento di prendere definitivamente le distanze da atteggiamenti paternalistici, che non aiutano chi li assume né tantomeno chi ne è oggetto. Si continua a parlare di valorizzazione delle donne. Ma le donne hanno già valore in sé, non è una concessione di qualcuno!

Per quanto riguarda invece un’attenzione che possono avere le donne, mi rifaccio a un commento di Antonietta Potente al brano del vangelo dell’emorroissa. Sottolineava come questa donna abbia fatto qualcosa che non le era concesso, cioè decidere autonomamente di toccare il mantello di Gesù. E lui stesso la loda per questo. A dire che non dobbiamo più chiedere il permesso a nessuno di essere noi stesse, non siamo chiamate a stare nella chiesa come ospiti che chiedono permesso, ma come co-padrone di casa che sanno come muoversi e si sentono libere di farlo. La Chiesa è casa di tutti e tutte e in casa propria non si spartiscono gli spazi di proprietà, non si elemosina visibilità. Semplicemente si condivide e si vive insieme, magari dandosi anche delle regole, ma avendo sempre presente che queste sono per favorire la comunione e la corresponsabilità, non per inibirle.

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