Non tutti i modi di vivere fanno vivere

Celebriamo oggi la XXVII giornata della vita consacrata, in cui vogliamo «ricordare con gratitudine l’immensa grazia della nostra vocazione ad essere memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù». Sono parole tratte dalla lettera che il Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica invia ai consacrati e alle consacrate di tutto il mondo. Il testo prosegue dicendo che «la missione ci conduce alla pienezza della nostra vocazione cristiana, ci dà l’opportunità di tornare allo stile di Dio che è vicinanza, compassione e tenerezza che si esprime nelle parole, nella presenza, nei legami di amicizia. Non possiamo separarci dalla vita». 

Ma che cos’è questa vocazione cristiana, se non l’espressione della pienezza dell’umano? La Gaudium et Spes già sottolineava a suo tempo che «chi segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa lui pure più uomo» (e più donna!). Non si nasce uomini (e donne), lo si diventa, crescendo in umanità. 

Il modo di esistere e di agire di Gesù ci ha mostrato la via per dare pieno compimento al nostro essere uomini e donne, per farci sbocciare e fiorire. Un consacrato o una consacrata devoti e ligi alla regola ma poveri di umanità esprimono una testimonianza opaca e smorta della loro vocazione, non vivono «il dono della fedeltà e la gioia della perseveranza». Non tutti i modi di vivere fanno vivere. C’è una modalità che compie, trasforma, trasfigura, e altre che sfigurano. Anche nella vita consacrata.

Ancora la lettera esorta a riconoscere che «abbiamo bisogno del soffio dello Spirito, che non permetta che il desiderio di uscire e raggiungere gli altri per annunciare il Vangelo si affievolisca o si eclissi». La giornata della vita consacrata non può ridursi a una mera cerimonia recriminante visibilità all’interno della Chiesa. È fare memoria del nostro compito esistenziale più alto, che definisce il senso del vivere: incarnare il bene divenendo più umani. La festa della presentazione di Gesù al tempio è un pungolo che «ci spinge a porci delle domande: invochiamo con forza e frequenza lo Spirito, chiediamo di riaccendere nei nostri cuori il fuoco missionario, lo zelo apostolico, la passione per Cristo e per l’umanità? Ci sentiamo spinti a parlare di ciò che abbiamo visto e udito? Sentiamo la nostalgia di Cristo? Soffriamo e rischiamo in sintonia con il suo cuore pastorale? Siamo disposti ad allargare la nostra tenda, a camminare insieme? E soprattutto chiediamoci: è la persona di Gesù, i suoi sentimenti, la sua compassione, ad appassionare i nostri cuori?».

Il tentativo di rispondere a questi interrogativi ci aiuti a prendere coscienza che ogni gesto di bene, ogni frammento di luce gettato nella tenebra, ogni segno di cura che dona dignità a qualcuno, ogni parola che solleva e risana, ogni abbraccio che scalda e rigenera, contribuirà ad incarnare Dio nel mondo. «La missione ci insegna a crescere in sincera armonia, rafforzando i legami e camminando insieme». 

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