La visita dei pastori

Le greggi erano tranquille e la notte era ancora fonda, i pastori più sconcertati che convinti per quello che avevano ascoltato, decisero di andare fino a Betlemme per vedere se era vero quello che era stato loro detto. Vedere un angelo può essere il frutto di una suggestione di gruppo o addirittura di una allucinazione. Cosa non improbabile visto che masticavano erbe per stare svegli e in allerta durante la notte.

Qualcuno, prima di incamminarsi, aveva infilato nel suo sacco un pezzo di formaggio e una piccola borraccia con del latte di capra, molto nutriente per i neonati, così dicevano le vecchie del suo villaggio.

Non avevano altra guida che le stelle e le fioche luci delle guardie alle porte della città. Evitarono di avvicinarsi troppo, perché a quell’ora non sarebbero sfuggiti alla prigione e si misero a cercare il bambino tra i rifugi di animali, che circondavano le mura. Qualcuno sentì il pianto di un neonato e lo seguirono come una bussola.

Si fermarono davanti ad un capanno fatto con frasche d’albero, qualche asse ormai rosa dalla umidità e sentirono parlottare. Spiarono da una delle numerose fessure nelle pareti e videro come era stato loro comunicato. Un bambino avvolto in fasce deposto nella greppia. Spinsero adagio la porta che cigolò impertinente e che riaccese il pianto del bambino. La madre al vedere uno, due, tre volti si curvò sul neonato per proteggerlo…il padre prese con due mani il suo bastone da viaggio e lo alzò minaccioso, il bue scosse la testa con le sue corna e l’asino raspò con la zampa posteriore la poca paglia del pavimento. 

Forse non erano i benvenuti, ma non indietreggiarono, erano abituati a sentirsi respinti. Aprirono ancora di più la porta e dovettero tenerla ferma perché non rovinasse su Giuseppe, Maria vide che le loro mani era vuote, che erano pastori e non li cacciò indietro. Si avvicinarono alla greppia e i loro occhi si riempirono di tenerezza, di nostalgia, di sorpresa. La ruvidezza delle mani con cui tentavano di accarezzare le fasce del neonato contrastava con i sentimenti che quel gesto voleva trasmettere. L’emozione fu tanta e tale che non riuscirono a dire una parola. Nessuno. Eppure quante domande avrebbero dovuto fare loro Maria e Giuseppe: perché a quell’ora… come sapevano…E a loro volta…chiedere chi erano, da dove venivano, come si trovavano in quel rifugio di animali e non in una casa…che cosa avevano a che fare con…gli angeli! Nulla né da una parte né dall’altra. L’unico gesto che fecero fu quello di lasciare quel poco cibo che avevano portato. Uscirono dal capanno in punta di piedi, cercando di muoversi con più garbo possibile; l’ultimo si avvicinò a Maria e le disse che avevano saputo tutto da un angelo. La madre sorrise e abbassò gli occhi, al pastore era sembrato che lei sapesse qualcosa di questo bambino, oltre al fatto che era suo figlio. Quando si incamminarono, a oriente il cielo incominciava a schiarirsi, dovevano tornare in fretta dai loro greggi. Nel sentiero che portava alla campagna incontrarono alcuni passanti, e anziché evitarli come erano soliti fare, si avvicinarono per raccontare quello che avevano visto, una cosa bella non solo perché la nascita è sempre un evento che suscita stupore ma soprattutto perché era stato loro comunicato per primi, a loro, gli ultimi, e poi doveva trattarsi di un bambino che aveva a che fare direttamente con Dio.

Per la prima volta nella vita, i passanti prestarono attenzione fino alla fine ai loro racconti, e se all’inizio erano increduli, perché sembravano fantasticherie, poi non riuscivano più a nascondere la loro meraviglia e sorpresa.

I pastori incominciarono la loro giornata come sempre, ma con una perla nel cuore: Dio li aveva messi a parte dei suoi progetti e si stava prendendo cura di loro. Tutto a partire da un bambino in fasce, custodito in una greppia.

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