La morte di un prete

La morte di un prete «giovane» suscita sempre delle emozioni profonde, che sia avvenuta per Covid, per incidente, per malattia grave o, come nel caso di don Roberto Malgesini, per violenza.

Che cos’è che risveglia in noi queste emozioni? La morte? Una vita interrotta in modo tragico e inaspettato? Un vuoto importante che si crea?

E perché certe emozioni nascono solo dopo che «questi» preti sono morti e non prima, anche se certe morti sono un po’ annunciate?

Provo a darmi una risposta.

Il prete al di là delle sue imprese o del suo menage, della sua eroicità o quotidianità è un uomo di Dio. È un segno della presenza di Dio tra noi! È una garanzia che possiamo, comunque, entrare in contatto con Dio.

Poi ci sono i preti che, vivi, sono un po’ fuori dalle fila, ma che, morti, vengono proclamati eroi e, se ci si mette anche l’istituzione, «santi».

Li invidiamo e li ammiriamo da morti, ma non li accompagniamo da vivi, meno ancora condividiamo il loro stile: troppo rischioso e non solo per la “pelle” ma anche per la serenità personale.

Mi guardo intorno nella cerchia ristretta dei preti che conosco o che vivono nel territorio dove vivo anch’io e sento l’urgenza di scoprire qualche “don Roberto”. Non posso concludere che non ce n’è. Non è detto che debba occuparsi per forza di stranieri o di vagabondi, potrebbe anche soltanto essere un prete secondo papa Francesco…che puzza di “pecore” e non di incenso o di cera.

Sì, c’è, ci sono!

Da vivi l’informazione non sa neppure che esistono, salvo poi, davanti al fattaccio, a cadere nel solito vizio di raccontare più il male che il bene!

Voglio emozionarmi oggi, guardando le scelte di questi preti, sostenerli almeno con la preghiera, la stima, la buona fama e non accodarmi a chi li guarda come degli esagerati, degli stravaganti o degli eccentrici.

Ci provo. Il prete è sempre uno che poco o tanto, ignorato o riconosciuto dà la sua vita per tutti, ovviamente a motivo di Gesù Cristo!

suor Caterina Margini

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