…e un altro grano della corona scorreva…


Suor Fausta Asioli

Non è un nome simbolico, ma una persona concreta, che ha vissuto in modo permanente la missione. È possibile sostituire questo nome con quello di altre suore incontrate e conosciute, e che magari sono state anche all’origine della vocazione religiosa per qualcuna di noi. Suore sempre «in uscita» non per evadere ma perché «inviate».

Ho avvicinato Suor Fausta quando era ormai avanti negli anni. Apriva  la porta con un gesto semplice, meccanico per lei, lo faceva da tempo, nelle stesse ore della giornata. L’età avanzata infatti non le consentiva di dedicarsi al catechismo, all’oratorio, all’assistenza dei ragazzi durante la messa. Le era stato chiesto questo servizio per alcune ore del giorno. Con una mano teneva la corona del rosario, l’altra era libera di pigiare il pulsante di apertura  della porta.

Tutto qui il suo apostolato?

A chi entrava o usciva, Suor Fausta sorrideva con sincerità, salutava con cordialità,  prestava attenzione scrupolosa. Non aveva sicuramente l’aria di chi deve tener sotto controllo la situazione perché tutto sia efficiente.

E quando le persone, i bambini o le ragazze, ma anche le suore, erano scomparse da quel tratto di ingresso che doveva vigilare, la mano, che fino a quel momento era rimasta ferma, quasi bloccata, aveva un cenno di movimento, un altro grano della corona scorreva sotto le sue dita e le labbra si muovevano delicatamente a favore di chi era appena entrato o uscito.

Le figlie dell’Oratorio, per vocazione, trascorrono la maggior parte della vita e del tempo in mezzo alla gioventù o nei servizi ad essa legati.

Suor Fausta ha lasciato la portineria quando le riuscì difficile percepire i suoni e distinguere le voci. A chi andava a trovarla chiedeva della famiglia, della scuola, dell’oratorio, della parrocchia. Conversazioni brevi perché si affaticava, ma, appena congedato chi la visitava, la solita mano ripeteva il solito gesto impercettibile, e un altro grano della corona scorreva…

Dopo numerosi anni trascorsi con incarichi impegnativi e compiti delicati, svolti con generosità (era stata infatti formatrice di molte generazioni di figlie dell’oratorio e superiora di comunità), affiorava senza equivoci il segreto di come ha vissuto i suoi compiti apostolici, non come attività da svolgere ma come uno stato permanente di missione.   

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  1. Non posso non ricordare, e con piacere condividere, come ho conosciuto suor Fausta. Erano gli anni del mio impegno come studentessa delle scuole superiori. Mi incrociavo con suor Fausta sulla porta della Chiesa Parrocchiale di Codogno. Lei usciva dopo aver partecipato alla Messa, io entravo per un saluto a Gesù prima di arrivare a scuola; lei mi salutava, io la salutavo, tutti i giorni. Non ero ancora particolarmente “attratta dalle suore”, ma quella suora la vedevo volentieri. Oggi, a distanza ormai di decenni, declino quel volentieri con apprezzamento per la sua discrezione, non invadenza, attenzione. Quando ci si rivedeva, io ormai Figlia dell’Oratorio, non mancava di ricordare a me e ai presenti, di avermi conosciuta “ancora signorina”, e lo dicevo con un sano orgoglio, mio malgrado. Sono certa di essere stata oggetto della sua preghiera, che mi ha aiutata nel processo di discernimento vocazionale. Grazie suor Fausta.