Don Vincenzo e l’altra metà del cielo (1)

È stato scritto che «l’eroismo della vita è nascosto nella normalità». Un’affermazione che per il credente può essere completata con una precisazione più sottile: «L’eroismo nell’amore a Dio e ai fratelli si gioca nella normalità della vita quotidiana». Nella rilettura in prospettiva teologica di alcune esperienze relazionali vissute da don Vincenzo, non possono mancare le relazioni con le persone che hanno condiviso più da vicino e quotidianamente la vita con lui: le domestiche e le suore.

 Le domestiche

Don Vincenzo condivise la vita di canonica con la domestica, secondo l’usanza secolare dei parroci: una a Regona, sulla cui identità non ci sono tracce, e due a Vicobellignano, prima la Togna e poi la Bigia, che a motivo dell’età e del carattere, sono più simili alla Perpetua di manzoniana memoria che alle loro antesignane dei primi tempi dell’era cristiana.

Da sempre, infatti, ci furono delle donne volenterose che si dedicavano al servizio degli ecclesiastici. Le prime si chiamarono Agapete, che in greco significa Dilette. Poi probabilmente ci fu qualche inconveniente, se il sommo pontefice Innocenzo II diede ordine che fossero allontanate dalle case dei sacerdoti.

Dal secolo XII, quindi, ebbe inizio il tempo delle Perpetue, che pure diedero occasione a diverse ordinanze pontificie, tra le quali quella che stabiliva che dovessero avere almeno cinquant’anni. Oggi il loro nome è «Familiari del clero» e mentre si propongono di avere per il sacerdote «le vigili cure di una madre, le delicate attenzioni di una sorella, il prudente riserbo di una ancella», hanno assunto anche un ruolo ecclesiale, che fa loro superare la normale mansione di addette alle faccende domestiche nella casa del prete.

Dalla necessità di soddisfare un bisogno pratico ad una vera e propria vocazione e missione.

Vocazione non nuova perché i vangeli parlano di alcune donne che seguivano Gesù e lo servivano, e dal contesto emerge che erano discepole e non domestiche, anche se prestavano servizi tipicamente femminili a Gesù e alla comunità degli apostoli.

Non si può separare la vicenda di don Vincenzo dalla presenza della Togna e della Bigia, le sue domestiche più note, perché sono entrate a far parte del suo cammino di santità. La Togna è passata alla storia per la sua maldestra iniziativa di riporre in un cassetto qualsiasi della casa una lettera del Vescovo in merito alla nuova fondazione, facendo ritardare i tempi per la risposta da dare al superiore, ritardi che potevano avere risvolti negativi.

Don Vincenzo non minimizzò il fatto, né giustificò la domestica. Cercò di riparare

Riparare: cioè intervenne senza giudicare, senza ferire e colpevolizzare. Rimediò al guaio mettendo fretta a tutti e a se stesso per recuperare il tempo perso, ma soprattutto accolse questo incidente non con l’animo di chi subisce un danno ma con l’atteggiamento della necessità di portare «gli uni i pesi degli altri» secondo l’esortazione di san Paolo. Fu una delle occasione in cui la sua «carità», passò  dalle parole ai fatti, senza clamore, nella umiltà di una relazione semplice e ordinaria. D’altra parte Gesù non aveva allontanato i suoi discepoli quando in diverse occasioni avevano dimostrato di non essere all’altezza della vocazione e missione a cui erano stati chiamati.

La Bigia gli procurò notevoli disagi avendo poca cura della canonica, e anche in cucina eccelleva in trascuratezza e dimenticanze. Don Vincenzo considerava marginali queste lacune soprattutto perché non avevano ricadute se non sulla sua persona e le viveva con serenità, come opportunità per vivere il distacco dalle comodità e dai piaceri della tavola che spesso  offuscavano la testimonianza dei preti presso i propri fedeli.

Ciò che lo metteva maggiormente in difficoltà era il suo borbottare insistente e a volte grossolano contro i ragazzi che correvano per casa. La donna voleva dimostrare che era preoccupata per gli eventuali danni, ma don Vincenzo sapeva che il suo disappunto era dovuto al fatto che queste presenze chiassose e a tutte le ore la infastidivano. Poterli avere «tra i piedi» era per don Vincenzo un modo per prendersi cura di loro e tenerli lontani dai pericoli! Gesù aveva addirittura sgridato gli apostoli che facevano di tutto per impedire che lui li accarezzasse e li benedicesse. Don Vincenzo cercò sempre di ignorare le lamentele della Bigia e non tolse mai loro la possibilità di stargli intorno.

 L’insofferenza della domestica che si adeguava ma senza essere persuasa della bontà delle scelte del  suo parroco, raggiunse il culmine  quando costrinse don Vincenzo a far sospendere una festa di carnevale organizzato nel salone dell’oratorio dai giovani. Per la domestica oltre al sollievo fisico ci fu anche la soddisfazione per aver piegato il parroco alle sue pressioni.

Don Vincenzo non le fece pesare le conseguenze del suo capriccio, che gli procurò la diceria che il parroco si lasciava comandare dalla domestica  e lo svuotamento dell’oratorio. Lui aveva coltivato la fiducia che la donna potesse comprendere e quindi rispettare le sue scelte pastorali, ma senza successo. Cercava di comprendere questi fatti alla luce dell’esperienza di Gesù. Il Maestro aveva messo a parte del suo progetto riguardo il Regno i suoi apostoli. Puntualmente c’era qualcuno che chiedeva un privilegio per sé e uno che nella preoccupazione di volerlo aiutare gli era invece di inciampo. Gesù però, come sempre, non vedeva in queste incongruenze un motivo per negare la possibilità di stare con Lui.

Don Vincenzo cercò di riparare i danni ristabilendo con pazienza le relazioni con i giovani e riguadagnando la  loro fiducia.

Non tolse la fiducia alla domestica e la coinvolse affidandole piccoli incarichi che sapeva avrebbe svolto con cura, come la distribuzione di alimenti e denaro ai mendicanti che  venivano alla porta. E  quando la sera  erano soli in canonica, la invitava a recitare il rosario con lui. Era questo il momento più alto della sua relazione con la domestica, perché  il rapporto non era più a due ma a tre, non più funzionale ad un bisogno ma gratuito: Dio era in mezzo a loro e trasformava una condivisione primaria in culto spirituale. In questa preghiera fatta insieme alla Bigia, don Vincenzo raccoglieva ogni suo disappunto verso di lei per purificarlo e chiedeva la pazienza per comprenderla ed amarla.

Per questo a quanti, a ragion veduta, evidenziavano i limiti e a volte i danni che la Bigia  gli procurava, don Vincenzo rispondeva con molta semplicità e spontaneità che era contento di lei e la scusava dicendo che era buona.

La guardava infatti con lo sguardo di Dio che non valuta le persone a partire dai loro meriti ma dalla Sua benevolenza. E chi era lui per sottovalutare uno dei piccoli che Dio considera tra i suoi prediletti?

Rispondi