Le case…

Le abitazioni dove di stabilirono le prime suore erano di proprietà di una di loro che si rendeva disponibile ad accogliere anche le altre. Per questo non avevano nessuna parvenza di convento o di casa religiosa e volevo che nella impostazione fossero come la mia canonica, dove i ragazzi potevano entrare ed uscire senza difficoltà e sentirvisi a loro agio.

Quando i parroci incominciarono a chiedere per le loro parrocchie le mie «suore», mettevano a disposizione l’abitazione, con annessi spazi per le attività a cui dovevano dedicarsi e per le quali venivano richieste. A volte adatti e altre volte adattati, ma sempre improntati all’accoglienza della gioventù.

Gli anni tra il 1898 e il 1915 furono i più fecondi di aperture. I primi tempi riuscivo ad assecondare tutte le richieste, ma ero anche molto pronto a ritirare le suore là dove vedevo che non c’erano le condizioni per essere fedeli all’idea originaria.

A Maleo decisi di acquistare una casa abbastanza capiente per riunire le suore, organizzare per loro gli esercizi spirituali ed altri incontri o raduni.

A Codogno, il parroco, che conoscevo molto bene, insistette a lungo perché accettassi di collaborare con la Antonia Tondini per la conduzione di una casa per bambine e ragazze orfane o abbandonate. Prima di noi aveva chiesto a Francesca Cabrini, (quella che sarà poi santa Francesca Cabrini, la santa degli emigranti!) ma la collaborazione durò poco. Si vociferava addirittura che erano arrivate alle mani per incompatibilità di carattere.

Poi fu la volta di apertura a Ponteterra, quindi Breda Cisoni, Viadana, Buzzoletto in territorio mantovano e diocesi di Cremona, e nel Guastallese a San Girolamo, a Novellara, a Campagnola, Santa Maria della Fossa, a Fabbrico, Boretto, Reggiolo, Brugneto, Brescello e Luzzara. Ci spingemmo nella vicina diocesi di Reggio Emilia, a Bagnolo e persino a  Bomporto e Soliera, in quella di Modena. A Lodi, dopo diversi traslochi, decisi di acquistare una casa e, successivamente all’approvazione diocesana, vi stabilii il Noviziato. Spesso però le candidate trascorrevano il periodo di formazione anche nelle comunità, sia per bisogni urgenti di persone che aiutassero, sia perché c’erano situazioni idonee a verificarne le attitudini alla vita religiosa.

In diocesi di Lodi ci chiesero di essere presenti a Massalengo, dopo qualche anno a Ossago, quindi a Bertonico. Poi fummo presenti a Pozzo d’Adda, e nelle vicinanze, a Capriate san Gervasio, fu acquistata una piccola casa per le suore malate e in convalescenza. Ci furono domande anche per località molto lontane dalle nostre zone ma non ebbero seguito: in alcuni casi si trattava di attività che esulavano dal nostro progetto, o in quel frangente non c’erano suore  per poter organizzare una comunità.

Conoscevo la povertà delle parrocchie e quella endemica delle popolazioni, per cui raccomandavo alle suore di non esigere più di quello che avevamo pattuito e di organizzarsi con piccole industrie per riuscire a sostenere le spese ordinarie. Da parte mia, oltre a provvedere agli acquisti straordinari e ad alcuni lavori di ristrutturazione, mi preoccupavo di fornire loro quegli alimenti di base di cui riuscivo a disporre sia dai raccolti dei miei contadini, sia acquistandoli a prezzi modici. Così fu per il vino, il grano, la legna e la frutta per l’inverno. C’erano comunità con entrate sicure e sufficienti, che volentieri  condividevano i loro proventi in natura con altre dove le difficoltà economiche erano molte. Alcune volte mi impegnavo a dare anche denaro per saldare eventuali debiti o per incrementare alcune attività per le giovani. Se poi vedevo che gli stenti delle suore erano dovuti alla tirchieria dei parroci, non aspettavo molto tempo a passare dalle parole ai fatti, ritirandole. Se al momento della approvazione diocesana, nel 1901, le comunità attive erano dieci, nel 1915 anno del Decreto di Lode Pontificio erano ben 25. Comunità piccole, case piccole, dove gli spazi migliori erano riservati alla accoglienza e alla formazione della gioventù.

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  1. “Conoscevo la povertà delle parrocchie…” grazie san Vincenzo, per questo tuo sguardo profondo, attento, vicino alla realtà del popolo, grazie perché ci hai voluto inmerse nella realtà della gente, camminando con loro “codo a codo”!