Insegnare a chi non sa (2)

La forma di ignoranza più diffusa tra i cristiani e la più pericolosa è l’ignoranza dei contenuti della fede, che  produce l’incredulità. Essere ignoranti, in questo caso, non vuol dire non avere cultura.

Don Vincenzo in uno scritto che intitola «Cause dell’incredulità», concludendo che l’ignoranza  ne è la maggior causa, non si riferisce all’ignoranza del popolo al quale attribuisce piuttosto l’indifferenza, ma a quella degli uomini di cultura e aggiunge che «L’incredulità moderna non è propriamente frutto della scienza, ma è realmente ignoranza, perdita del senso delle cose invisibili e spirituali; è rimanere circoscritti nei limiti angusti dello spazio e della materia» e afferma che «per le scienze moderne tutto è degno di essere studiato fuorché Dio e la Religione».

insegnare labibbiaLa fede, pertanto, ha bisogno in primo luogo della conoscenza delle Scritture e massimamente dei Vangeli, che consegnano la conoscenza di Gesù: infatti «l’ignoranza delle scritture è ignoranza di Cristo» (DV 25).

Don Vincenzo come parroco attuò la missione di evangelizzazione, in un contesto difficile. A Regona dovette contrastare la diffusione di stampa e argomenti contro la fede e la dottrina della Chiesa e a Vicobellignano incontrò nella popolazione un muro di indifferenza. Al cuore della sua azione pose una certezza: la Parola di Dio come punto di partenza e di arrivo di ogni insegnamento, la medicina indispensabile per curare l’ignoranza.

Egli fece della catechesi la sua attività pastorale principale, per ogni fascia di età e per le diverse categorie di persone, una catechesi sistematica, domenicale, sacramentale e specifica per i tempi liturgici.

DSC_0218 (640x420)Altro strumento per istruire nella fede la popolazione fu la predicazione delle missioni popolari. A conferma della priorità data alla evangelizzazione mediante la predicazione, aderì ad una associazione di sacerdoti che si mettevano a disposizione del Vescovo di Reggio Emilia per le missioni popolari.

Allo stesso modo la mole di scritti che ci ha lasciato sono la più efficace testimonianza della sua dedizione alla cura degli ignoranti nella fede. Nelle omelie e conferenze non improvvisava, ma si preparava e si documentava.

Egli considerava importante diffondere la stampa cattolica, istituire biblioteche di libri buoni, aprire sale di lettura per i giovani, promuovere associazioni cattoliche, comitati parrocchiali che si proponessero l’istruzione nelle scienze religiose. La sua azione pastorale non era legata solo alle occasioni pubbliche ed organizzate, riteneva molto utili «le conversazioni  amichevoli per dissipare pregiudizi, rischiarare la verità, insinuare letture sane, riportare alla chiesa e mantenervi saldi quelli che ci sono».  A questo proposito, un suo confratello ricorda, che le sue conversazioni erano piacevoli, ma mai banali, e sempre arrivavano a Dio o a quanto lo riguardava, senza essere pedante e pesante.

E anticipando di un secolo il Concilio Vaticano II, disse: «Voi laici per mezzo delle buone opere, della preghiera e di una vita onesta potete fare molto bene in mezzo alla società ed arrivare dove noi sacerdoti non possiamo e non potremo mai arrivare».

Rispondi a suorgabrielaAnnulla risposta

  1. La Buona Notizia cura l’ignoranza… e ci fa liberi anche se si è in cattività… Il Vangelo costa il sangue, c’è sempre un caro prezzo da pagare, per questo sei libero…