«Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16)

Vincenzo Grossi è stato canonizzato  il 18 ottobre, giornata missionaria mondiale. Una coincidenza non volutamente cercata e stabilita, ma non per questo meno significativa e provvidenziale. È una opportunità per  conoscere la sensibilità di san Vincenzo Grossi per le missioni o come si dice oggi per la missione ad gentes.

Papa Francesco nel messaggio per la giornata missionaria mondiale 2015 ha scritto che “La dimensione missionaria, appartenendo alla natura stessa della Chiesa, è intrinseca anche ad ogni forma di vita consacrata, e non può essere trascurata senza lasciare un vuoto che sfigura il carisma”.

Don Vincenzo sicuramente  non è mai riuscito ad esprimere così chiaramente il suo pensiero riguardo le missioni, ma la sua vita supplisce abbondantemente alle sue parole perché è stata una vita in missione. «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16) scriveva san Paolo. Don Vincenzo nulla ha anteposto all’annuncio del vangelo, né l’infermità personale, né il freddo o il caldo eccessivi, né una comunità parrocchiale più pronta a disertare che a corrispondere agli inviti del suo parroco, meno ancora  il dolore per un improvviso grave lutto familiare…né gli insulti a voce alta di un volgare miscredente nel corso delle sue omelie.

Don Vincenzo fu aperto e sensibile alle missioni ad gentes, ma per motivi che le testimonianze non sono riuscite a consegnare alla storia, non uscì mai dalla sua nazione. Percorse, in cambio, in lungo e in largo le campagne della bassa Lombardia per predicare le missioni  e si recò  frequentemente anche ”al di là del Po” in diocesi di Guastalla, Modena e Reggio Emila per lo stesso motivo. Si teneva informato sulle attività di Propaganda Fide leggendo i bollettini periodici e gli Annali; in particolare manifestava interesse per l’Africa e più precisamente per l’Uganda.

Promosse nella sua parrocchia l’Opera Pontificia Missionaria della Santa Infanzia. Sapeva dei rischi anche mortali a cui andavano incontro i missionari e considerava che il sacrificio della vita per la fondazione di nuove comunità cristiane era da considerare un motivo di gioia spirituale. Promuoveva la sensibilizzazione missionaria tra i suoi parrocchiani e raccolte di fondi per le opere di Propaganda Fide; alla sua morte fu trovato un libretto bancario con una somma  significativa da destinare alle missioni.

Alle sue suore insieme al senso di parrocchialità  ha trasmesso anche il senso della missionarietà, perché un carisma non aperto al servizio della chiesa universale rischia di essere  un carisma deformato. 

Non ebbe tempo né forse l’opportunità di aprire nuove fondazioni per le sue suore nelle classiche terre di missione, ma con il DNA del Carisma intese trasmettere loro, senza possibilità di smentita, l’apertura missionaria dapprima come disposizione della mente e del cuore, confidando che le decisioni concrete sarebbero venute cammin facendo come risposta ineludibile ai bisogni che sarebbero emersi dalla evoluzione sociale e pastorale.

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  1. La mia sfida in terra ecuadoriana é stata fondamentalmente quella di farmi testimone della Parola… “Quello che abbiamo udito, quello che abbiamo visto, quello che le nostre mani hanno toccato…” ci dice s. Paolo; questo è quello che è stata la mia missione a Pajan, Ecuador. Quella Parola, ha un nome: Gesù…. E mentre io pensavo di portare Gesù ai miei fratelli ecuadoriani, mi sono riempita da quella beatitudine di povertà di cui Gesù ci parla nel vangelo. Ho toccato io con mano ciò che significa il tempo gratuito con il fratello e con i Signore. Ho appreso il vero significato delle parole: stupore, meraviglia, perché nel piccolo, nel quotidiano il Maestro ci trova sulla strada. Oggi Papa Francesco continua a richiamarci ad essere una “Chiesa in uscita” per farci carico, anche noi, di quei fratelli nostri che si trovano nelle periferie della vita. Che la emblematica frase di Vincenzo ci parli al cuore: LA VIA É APERTA BISOGNA ANDARE…

  2. In questi giorni ho riascoltato l’intervento di suor Immacolata ai catechisti di Zelo per trovare ispirazione. Come si può essere educatori senza un’abbondante dose di passione e qualche pillola di “pazzia” ?!
    Nello zelo di Don Vincenzo percepisco una passione ardente per i giovani. Uno zelo che lo ha portato a conoscere la realtà dei giovani e a parlare il loro linguaggio, senza risparmiarsi. Quanta tristezza ho provato quando ho sentito educatori affermare “non ho tempo” davanti alle esigenze dei ragazzi. Dall’altra parte comprendo la complessità di far condividere questa passione con la routine della vita quotidiana. Don Vincenzo ci aiuti a usare la fantasia per trovare nuove vie per incontrare i giovani.