La conversione delle relazioni: non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù
La parola «conversione» fa riferimento a un cambiamento da compiersi o già compiuto. Probabilmente, per chi non è avvezzo al linguaggio religioso o ecclesiale, fa pensare alla conversione di un file, per esempio da word a pdf, oppure alla conversione a U proibita o concessa dal codice della strada, o ancora al mutamento di forma o natura delle sostanze chimiche, come l’acqua che si converte in ghiaccio. E si può pensare anche alla conversione religiosa di un uomo o di una donna. In tutti i casi, c’è in ballo una trasformazione, una modificazione non superficiale o parziale, ma radicale, totalizzante; non solo esteriore, ma interiore, che tocca il nucleo più profondo, un cambio che segna un prima e un dopo nella vita del soggetto che si converte.
Il documento finale del Sinodo ha come punto centrale proprio la conversione, citata nel titolo di ben quattro capitoli su cinque. Esordisce sottolineandone la necessità. Se vogliamo essere chiesa sinodale, ci è chiesta una disponibilità al rinnovamento, al mettersi in discussione, che papa Francesco ha richiamato più volte nel suo magistero di questi anni: «La logica del si è sempre fatto così è un rifugio che ammala la Chiesa» (udienza del 22/3/23). «Quella logica è un veleno. Un veleno dolce, perché ti tranquillizza l’anima oggi e ti lascia come anestetizzato e non ti lascia camminare. Tante volte trovo comunità cristiane invecchiate per la paura» (19/3/18).
Le madri e i padri sinodali, pur riconoscendo l’urgenza della conversione, riconoscono una certa riluttanza: Non ci nascondiamo di aver sperimentato in noi fatiche, resistenze al cambiamento e la tentazione di far prevalere le nostre idee sull’ascolto della Parola di Dio e sulla pratica del discernimento.
Ma quali sono gli ambiti in cui non molliamo la presa e in cui invece occorrerebbe una svolta? A cosa dobbiamo convertirci come chiesa, per essere sinodali sul serio? Il documento finale individua alcuni snodi ineludibili per una vera conversione alla sinodalità, di cui il primo sono le relazioni.
Al n. 50 leggiamo: «Lungo tutto il cammino del Sinodo e a tutte le latitudini è emersa la richiesta di una Chiesa più capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità, tra tutti i Cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni, con la creazione […]. Il desiderio di relazioni più autentiche e significative […] corrisponde a una profonda consapevolezza di fede: la qualità evangelica dei rapporti comunitari è decisiva per la testimonianza che il Popolo di Dio è chiamato a dare nella storia. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35) […]. Per essere una Chiesa sinodale è dunque necessaria una vera conversione relazionale. Dobbiamo di nuovo imparare dal Vangelo che la cura delle relazioni non è una strategia o lo strumento per una maggiore efficacia organizzativa, ma è il modo in cui Dio Padre si è rivelato in Gesù e nello Spirito […]».
Non si tratta solo di «volerci più bene», cosa di cui peraltro abbiamo bisogno. Questa conversione relazionale richiede un cambiamento di mentalità e di strutture riguardo molti aspetti. Uno è il rapporto tra i due sessi: «Diamo testimonianza al Vangelo quando cerchiamo di vivere relazioni che rispettano l’uguale dignità e la reciprocità tra uomini e donne. Le ricorrenti espressioni di dolore e sofferenza da parte di donne di ogni regione e continente, sia laiche sia consacrate, durante il processo sinodale, rivelano quanto spesso non riusciamo a farlo (52)». E ancora, al n. 60: «Le donne continuano a trovare ostacoli nell’ottenere un riconoscimento più pieno dei loro carismi, della loro vocazione e del loro posto nei diversi ambiti della vita della Chiesa, a scapito del servizio alla comune missione […]. Questa Assemblea invita a dare piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle donne, in particolare nei luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo. Anche la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre proseguire il discernimento a riguardo». Senza nascondersi più dietro la logica velenosa del «si è sempre fatto così».