Da soli non si può

Nel proseguire la catechesi sulla passione per l’evangelizzazione, papa Francesco ci mette davanti la figura di Sant’Andrea Kim Taegon, primo sacerdote della Corea, una terra che nei secoli scorsi ha visto i cristiani perseguitati severamente. «Credere in Gesù Cristo, nella Corea di quell’epoca, voleva dire essere pronti a dare testimonianza fino alla morte».

Ma pur concentrandosi sulla testimonianza data da Sant’Andrea, l’incipit del discorso del pontefice mette l’accento sul fatto che «l’evangelizzazione della Corea è stata fatta dai laici. Sono stati i laici battezzati che hanno trasmesso la fede, non c’erano preti, perché non ne avevano: vennero più tardi, pertanto la prima evangelizzazione l’hanno fatta i laici».

Questo ci ricorda che ci sono molti carismi e vocazioni, ma siamo chiamati ad essere una cosa sola in Cristo, chiamati a interagire per l’unico scopo identico per tutti: l’edificazione del Regno. Dal Concilio in avanti, grazie anche al cammino sinodale tuttora in corso, abbiamo preso coscienza che «da soli non si può»: la vita di fede, e in essa la vita ecclesiale, non possono essere vissute a compartimenti stagni, ognuno rinchiuso nei recinti della propria vocazione specifica. È possibile e necessario vivere quel senso di Chiesa che consente di collaborare attivamente per la causa del Vangelo nel mondo di oggi. Siamo chiamati in causa tutti, preti, religiosi/e e laici. Il drastico calo delle cosiddette «vocazioni di speciale consacrazione» è letto da molti come una sventura, come una mancanza di prospettiva e di futuro. Chissà che invece Dio, proprio attraverso questa situazione, voglia farci accorgere che ci sono tante vocazioni a cui non abbiamo mai prestato attenzione. In genere si è molto attaccati alle etichette, ma lo Spirito scardina e scombina l’ordine impostato, soffia per mostrarci che la vita è molto più grande delle definizioni che ne possiamo dare, che il Regno di Dio va molto al di là dei confini ecclesiali e le categorie ristrette a cui siamo abituati. Le parole di Bergoglio sottolineano ancora che in Corea «la missione l’hanno fatta i laici». Ci sono tantissime persone che si portano dentro risorse straordinarie che chiedono spazio e riconoscimento per poter essere messe a disposizione di tutti. C’è una mentalità da rivedere se vogliamo arrivare a riconoscerci davvero come «Popolo di Dio». C’è bisogno di dare spazio e parola a tutti, per arrivare a vivere non solo la condivisione, ma ancor più la comunione, per riscoprire che è il Battesimo ciò che in profondità ci unisce nella Chiesa.

Anche la vita consacrata, in particolare quella femminile, ha bisogno di crescere in questa consapevolezza e di «crederci un po’ di più», di avere una considerazione maggiore del dono vocazionale che la costituisce, per poter mettere a disposizione con più audacia il capitale di grazia che Dio ha messo nei cuori e che troppo spesso ci trova impaurite e poco convinte.

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