Un sguardo nuovo su di lui (Guardare don Vincenzo con … 20)

L’ originalità di don Vincenzo non sta sicuramente nella santità perché come lui ci sono stati numerosissimi sacerdoti altrettanto generosi, fedeli, anche se la maggioranza non sono sugli altari.

E poiché l’agiografia ha sottolineato ed enfatizzato le virtù praticate fino all’eroicità, perché così richiedevano i criteri dei processi diocesani, vorrei guardare don Vincenzo senza aureola e senza quell’alone di santità che piano piano è cresciuto intorno alla sua memoria.

Un don Vincenzo al naturale.

Ordinato sacerdote mentre la diocesi è sede vacante – e lo rimane per quattro anni! – non ha riferimenti autorevoli. Il vicario del Vescovo, pur ricoprendo con competenza il suo ruolo, non promuove la vita del clero, perchè è impegnato nelle controversie politiche ed ecclesiali. Don Vincenzo non si disorienta, ma cerca, nelle amicizie sacerdotali, il confronto, il sostegno, lo scambio, l’illuminazione. È in questa prospettiva che si possono vedere le riunioni vespertine che egli faceva, appena ordinato, nella canonica del fratello don Giuseppe, insieme a don Pietro e don Luigi Trabattoni ed altri sacerdoti.

Nei primi anni dopo l’ordinazione accetta alcuni incarichi nelle parrocchie anche se non sono remunerati, per il mancato riconoscimento governativo. In un tempo in cui appartenere al clero era sinonimo di garanzia economica, don Vincenzo dà la priorità alla cura d’anime sul proprio sostentamento… pratica poco diffusa tra il clero.

La sua sensibilità per i ragazzi e i giovani e le iniziative avviate per loro, sono una delle sue caratteristiche pastorali, per cui riempiva la casa e gli spazi attorno alla canonica con le loro presenze. Soffrire di emicranie importanti e sopportare il chiasso , lascia spazio anche a qualche scappellotto che ha distribuito ai più «indiavolati». Che facessero man bassa del pane e dello zucchero nella sua cucina o rubassero la frutta dell’orto, può avergli fatto sfuggire qualche epiteto brusco, che pure ci stava… Tutto senza nulla togliere al suo bene per i ragazzi, di cui amava circondarsi.

Quando intuisce la necessità di creare nuclei di collaboratrici nelle parrocchie per la cura della gioventù femminile, condivide il suo desiderio con alcune  donne orientate alla consacrazione, ma non pensa a dare vita ad una fondazione. Sarà il tempo e l’evolversi quasi naturale di queste iniziative locali che gli faranno prendere consapevolezza che Dio è il Fondatore e lui  il direttore. E ci vorranno molti anni e molte controversie. Anzi saranno proprio queste ultime che lo metteranno di fronte al bivio: associazione di donne o istituto religioso?

Nell’incontro col suo Vescovo, con altri Vescovi, parroci o persone autorevoli di chiesa vedo un uomo sicuro di sé, determinato senza essere caparbio, competente e innovativo, duttile ma non servile, e così si è mosso nelle aperture delle nuove case da aprire, pronto a chiuderle se le condizioni accordate non erano rispettate.

La sua corrispondenza consente di vedere un don Vincenzo giureconsulto. In una lettera indirizzata al Vescovo di Lodi per difendere da accuse infamanti, mosse dal parroco, la superiora della comunità, non usa circonlocuzioni, va diritto alla questione e non si riserva di mettere in luce i macchinamenti del sacerdote. Lo stile è chiaro, e in alcuni passaggi tagliente, sa di dire il vero sia riguardo la suora sia riguardo l’ambiguità del parroco.

Nella corrispondenza con le suore, recuperata solo parzialmente, si vede l’amministratore avveduto e saggio che si preoccupa di provvedere alle comunità, suppellettili, legna, vino, frutta, di qualità buona e a prezzi moderati. Ma non vuole dare l’abitudine a far trovare la scorta là dove queste possibilità ci sono.  Se è generoso nel dare offerte in denaro anche consistenti per avviare attività apostoliche o consolidarle, si rifiuta spazientito di darne ancora quando vede che non vengono usate al meglio, perché lui non ha la borsa di sant’Omobono, diceva.

Nelle lettere si vede la conoscenza personale delle suore a lui contemporanee. Le chiama con nomignoli tra l’affettuoso e l’ironico, mette in luce le loro contraddizioni,  inconsistenze, le incoerenze di qualcuna, e non si trattiene dal minacciare di dimetterle se non cambiano. Vuole essere coinvolto nelle programmazioni delle comunità ma lascia l’autorità alle suore che sono al Governo.

Gli aneddoti raccontano delle mortificazioni nel cibo che don Vincenzo faceva. Ma è anche bello vedere che ha gradito moltissimo i datteri che gli hanno inviato dalla riviera ligure e che ne chiede ancora perché sono squisiti e gli calmano i dolori allo stomaco.

 Vedere don Vincenzo da queste angolature lo fanno percepire normale, quotidiano, sicuramente  vero… quanto basta per amarlo ed emularlo.

suor Caterina M.

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