Prendete e mangiate
Quella cena di quella pasqua ebraica, l’abbiamo chiamata l’ultima cena di Gesù.
Non lo sapevano i suoi discepoli, né chi ha messo a disposizione la stanza per celebrarla. Nulla nelle parole di Gesù che facesse presagire che sarebbe stata l’ultima.
E nel corso della cena oltre ai gesti previsti, Gesù compie gesti comuni, come quello con il quale ha accompagnato le parole «prendete e mangiate».
Tutti sappiamo che nell’invito rivolto a qualcuno a mangiare da noi o con noi, non c’è la sollecitudine a sfamarlo o a saziarlo ma l’espressione del desiderio di dare noi stessi attraverso quello che abbiamo preparato e le attenzioni con cui circondiamo l’invitato.
«Prendete e mangiate» è lo stesso che dire: «Mangia, bevi; l’ho fatto per te. Prendine di più; è lì per te, per goderne, per esserne fortificato, sì, per farti sentire quanto ti voglio bene».
Ciò che desideriamo non è semplicemente dare del cibo, ma dare noi stessi. «Sii mio ospite», diciamo. E mentre incoraggiamo i nostri amici a mangiare alla nostra mensa, vogliamo dire: «Sii mio amico, mio compagno, il mio amore -sii parte della mia vita -voglio darti me stesso».
Questo è il senso delle parole e del gesto di Gesù ai suoi: dona tutto se stesso. Il pane non è semplicemente un segno del suo desiderio di diventare nostro cibo; il calice non è solo un segno della sua volontà di essere nostra bevanda. Il pane e il vino diventano il suo corpo e il suo sangue nel darsi, prima nell’accoglienza, nel servizio, nell’ospitalità, il giorno dopo nel pagare con la sua vita inchiodata su una croce per il male del mondo.
Gesù non trattiene e non si aggrappa alla sua vita, la dona interamente e fino alla fine.
Egli dona tutto ciò che c’è da dare. «Mangiate, bevete, questo è il mio corpo, questo è il mio sangue… Eccomi per voi!». Questo sono io!