Chiamate a camminare verso l’inedito

Nel contesto delle iniziative locali in preparazione al Sinodo 2018 su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» il CDV  (Centro Diocesano Vocazioni) della diocesi di Milano ha raccolto e pubblicato i risultati di una indagine tra i giovani, e non solo, sulla percezione della vita religiosa femminile e li ha presentati in un volumetto dal titolo

(COME) MI VEDI?

La  ricerca è partita da alcune domande attorno alle quali poi se ne sono sviluppate altre.

Chi ci vede oggi, cosa vede, cosa capisce, cosa interpreta? Quale significato simbolico scatena la religiosa in chi la incontra?

L’aver messo nel titolo l’avverbio «come» tra parentesi è stata una provocazione intenzionale, perché mentre l’idea dell’analisi è nata dal bisogno di conoscere la lettura che viene fatta oggi della vita religiosa, la conclusione suscita interrogativi cruciali nelle religiose, sia personalmente che nelle loro comunità. Infatti la questione non si pone più ora come bisogno di capire in che modo siamo «viste», ma se siamo «viste», dove il verbo «vedere» è considerato nella sua accezione di «essere un punto di riferimento», come lo può essere una luce, piccola o grande che sia.

L’indagine è stata condotta dalla Università del Sacro Cuore di Milano tra ragazze e giovani donne che frequentano «i nostri ambienti»: oratorio, scuole, catechesi e/o centri giovanili e, sul medesimo tema  o con le stesse domande o  simili, è stata rivolta ai sacerdoti, religiosi e seminaristi.

Nel riportare qui alcune considerazioni in merito, viene messo l’accento sulle «giovani» e si lascia alla lettura del testo la non meno interessante «considerazione» dei sacerdoti, dei religiosi e dei seminaristi verso la vita religiosa femminile.

La percentuale delle giovani che hanno un’idea corretta sulle religiose (suore, monache, consacrate, laiche) è alta, ma procedendo nell’analisi dei dati pervenuti è stato evidenziato che il loro rapporto con le suore è poco significativo. È come se nella maturazione delle scelte di vita delle giovani le suore non ci fossero. E questo mette in luce il divario che esiste di fatto tra le giovani intervistate, gli ambienti che frequentano e la scelta vocazionale.

Le religiose vengono incontrate quasi esclusivamente in ambito lavorativo, con una prevalenza nella  «scuola» e nella parrocchia e sono considerate prevalentemente «umili, coraggiose, caritatevoli». 

Globalmente, però, emerge poco interesse nei loro confronti, confermando la posizione dell’opinione pubblica che non riconosce loro rilevanza culturale ed ecclesiale. Può consolare il fatto che pur parlandone poco o con superficialità, se ne parla almeno con rispetto e stima.

È un quadro davvero un po’ a tinte smorte. Il calo vocazionale, infatti, è la prima e più immediata ricaduta.

«Mala tempora currunt!», si potrebbe esclamare con le parole di Cicerone. O consolarsi con una osservazione suggerita dalla Sacra Scrittura, se pure malinconica: «La Parola di Dio in quei giorni era rara» (1 Sam 3,1).

Questa indagine, però, chiede in ultima analisi, di spostare l’attenzione dalle giovani alla vita religiosa femminile di oggi. I Carismi, infatti, sono vivi ma non sono visibili. Che non significa che le religiose sono insignificanti. «I compiti svolti rinchiudono le comunità religiose femminili nel ristretto ambito delle solite mansioni e impediscono loro di mostrare altre, più specifiche qualità», scrive don Nico dal Molin nella postfazione.

Il Carisma a volte non ha un peso reale nella pastorale… il divario generazionale è quasi incolmabile… pesa una grave incertezza sul futuro della vita religiosa femminile: sono  questi alcuni dei nodi emersi dagli interventi delle religiose che hanno partecipato alla presentazione del volume, espressi non con l’animo di chi rinuncia, ma con la consapevolezza sofferta e sana di chi sa che ancora si può.

La tendenza comune, ad intra e ad extra, è di considerare la vita religiosa femminile imbrigliata nella rassegnazione. Perché non evidenziare anche la speranza e la fiducia di quante, singole religiose, comunità ed Istituti stanno cercando di risalire, non senza fatiche, la china? Un cammino non a ritroso nel passato, ma verso l’inedito: una vita religiosa che privilegi le relazioni umane per evangelizzarle.

E noi, Figlie dell’Oratorio, che pur trascorrendo la maggior parte della nostra vita tra le giovani, non sfuggiamo alla condizione di essere «invisibili» ai loro occhi, non potremmo  diventare «visibili» se da comunità funzionali ci trasformassimo in comunità relazionali?

 

 

 

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  1. Ancora una volta ci arrivano una provocazione e un’opportunità per poter fermarci e riflettere, insieme.
    Vita Consacrata “visibile”. E’ il Vangelo che ce lo chiede, ad esempio in Lc 8,16: “Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce”. La luce del mio appartenere a Cristo come donna consacrata, la luce del carisma. Devo farmi vedere, certo non con l’atteggiamento della “prima donna”, di colei che ha le risposte per tutto e per tutti. Devono essere visibili in me i criteri che stanno alla base delle scelte, delle relazioni. E’ pur vero che ancora si fraintende la visibilità come la ricerca di affermazione di sé, perché veniamo da una formazione che ha inteso l’umiltà come nascondimento dei doni ricevuti, come assunzione di un comportamento/pensiero omologati che quasi non facessero trapelare l’incontrovertibile unicità di ciascuna. Con tutto ciò non voglio giustificare una reale situazione, e credere che non ci sia niente da fare. Incominciamo a vedere quale inedito “abita” la realtà comunitaria, pastorale nella quale viviamo ogni giorno.