Rendo grazie a Colui che mi ha giudicata degna di fiducia…

…chiamandomi alla vita consacrata e missionaria

«Rendo grazie a Colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù, perché mi ha giudicata degna di fiducia chiamandomi» (Tim. 1,12)… alla vita consacrata e missionaria.

Era l’anno 1994 quando presi il volo per l’Argentina. Vissi un primo tempo a Monte Comàn, in provincia di Mendoza, puro campo, come si dice da quelle parti. In quel periodo il dover apprendere la lingua mi confermò nella convinzione che più che andare a dare andavo a ricevere. Davo la mia presenza, ma ricevevo molto di più attraverso ciò che la cultura della popolazione argentina mi donava.

Fui trasferita nel Gran Buenos Aires, precisamente a Ciudadela, un ambiente completamente diverso, dove regnavano le povertà delle periferie delle grandi città. Quando fu aperta una nuova missione nella Patagonia Argentina,  feci parte di quella comunità. Passai dalle strettoie delle Villas Miserias della città ai grandi spazi, senza confini, della Patagonia.

Il Vescovo per supplire alla mancanza di sacerdoti, ma soprattutto per frenare la diffusione a macchia d’olio di tante  “sette “ che si rifacevano alle chiese evangeliche, aveva chiesto la presenza delle suore. Per tradizione quelle zone erano di confessione protestante, perché parecchio tempo prima vi si era insediato un gruppo di colonizzatori provenienti dal Galles (Inghilterra), anche se non erano la causa della diffusione delle sette che aveva un’origine di carattere politico.

L’area della nostra azione pastorale, svolta in stretta collaborazione con il parroco, comprendeva tre paesi, Gaiman, Dolavon e 28 de Julio ed era distribuita in un raggio di 40 km. Il parroco aveva la canonica a Gaiman, il centro più importante e anche famoso per le case da thé fondate dai Gallesi, mentre la nostra comunità risiedeva a Dolavon a 12 km. Dedicavamo molto tempo agli spostamenti perché animavamo le tre comunità. Eravamo a tempo pieno a servizio della Comunità cristiana seguendo il Progetto Pastorale Diocesano nella pastorale giovanile, nella catechesi a tutti i livelli, nella formazione e nell’accompagnamento del gruppo Caritas. Per conoscere la realtà e per sapere come e dove iniziare il nostro servizio, abbiamo  dedicato i primi mesi alla visita delle famiglie. Tutte ci hanno accolto cordialmente anche se in forme diverse. I ragazzi e i giovani sono stati i primi a bussare alla nostra porta. La nostra casa era aperta a tutti e non si faceva distinzione di persone o di confessione. Qui si sentivano a loro agio e dopo la catechesi ci intrattenevamo con loro prendendo un «mate», considerato a livello nazionale la bevanda dell’amicizia. In seguito cominciarono a bussare le famiglie che ci rendevano partecipi delle loro tribolazioni e povertà. Cercavano qualche aiuto concreto ma anche la possibilità di poter raccontare del marito senza lavoro o con lavori saltuari e magari  con il vizio dell’alcool, dei tanti figli da sfamare e delle abitazioni sempre più precarie, soprattutto nei mesi invernali quando il vento del Sud soffiava forte e insistente per giorni e settimane. Bussavano alla nostra porta e al nostro cuore.

In quegli anni, vivemmo la tragica crisi economica dell’Argentina che culminò  nel 2001 con il congelamento dei conti bancari e con  altre manovre finanziarie che portarono alla disoccupazione e alla fame soprattutto le classi sociali già deboli. All’improvviso le nostre famiglie  rimasero senza niente. Noi stesse perdemmo il denaro depositato in banca ricevuto come offerte. I ragazzi di età scolare erano fortunati perché avevano assicurato l’unico pasto della giornata, il pranzo. Quelli più piccoli, o più grandi e quanti avevano abbandonato la scuola come sostenerli? Fu dato inizio, allora, alla «copa de leche» (bicchiere di latte) che consisteva nell’offrire una merenda che potesse sostituire la cena a base di latte, pane fatto in casa. Tutti  i pomeriggi la nostra casa e gli ambienti delle parrocchie si riempivano di bambini e adolescenti. In quegli anni crebbe molto la solidarietà: chi aiutava, veniva a sua volta aiutato soprattutto con beni in natura. Anche per le donne aborigene (le più povere ) la  Caritas aprì un laboratorio dove filavano e tessevano al telaio indumenti che poi vendevano ai turisti o sui mercati delle città. Chi sapeva di taglio e cucito trasformava cappotti e giacche dismessi in coperte per il rigido inverno….  La necessità rendeva creativi.

Gli anni più impegnativi sono stati  esattamente quattro, quando in parrocchia non abbiamo avuto la presenza del sacerdote. Si  collaborava con il  Parroco di Trelew, città che distava una ventina di Km  per cui veniva a Gaiman una volta la settimana, a Dolavon ogni 15 gg. e a 28 de Julio una volta al mese. Noi suore supplivamo tutte le celebrazioni con la Liturgia della Parola. Le esequie si celebravano di solito con il Pastore Metodista, e diventavano una preghiera ecumenica. Con i membri delle sette evangeliche la fatica era maggiore perché erano molto diffidenti nei nostri confronti e non si trattenevano dal rifiutare apertamente la nostra presenza quando presiedevano i funerali di persone da noi conosciute.

Questo aspetto dell’ecumenismo è stata la caratteristica della nostra azione missionaria ma nel trattare con questi fratelli avevamo un esempio chiaro in don Vincenzo Grossi le cui strategie con i protestanti abbiamo sempre cercato di tener presenti. Egli infatti diceva: «Devono sapere che amo anche loro!». E non misurava il bene che poteva fare loro.

suor Mariarosa Geroni

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  1. Hola querida Suor Maria Rosa….què hermosa misión la nuestra que nos permite acumular tantos recuerdos hermosos donde nunca la memoria se agota….!!!
    Ahora ya en tu tierra, sigue rezando por nosotros ,la misión nunca se agota,Dios nos sigue regalando el tiempo, para compartirlo con quien màs lo necesita…Un abrazo ….