Uomo di studio
Alcune testimonianze affermano che «era uomo di studio per comprendere le questioni del tempo».
Ma, prima che i testimoni, è lo stesso vescovo Bonomelli che tra le note personali in margine alle visite pastorali ha scritto di don Vincenzo Grossi che era
«giovane istruito» a fronte di una buona fetta di clero che invece era definito «mediocre» se non addirittura scarso. Proveniva da una famiglia di artigiani senza studi, ma probabilmente con tanto ingegno, come si è evinto dalle qualifiche professionali dei diretti discendenti.
Un quoziente intellettivo può essere riconducibile, quindi, ad una disposizione di fondo, ma c’era anche la necessità per don Vincenzo di approfondire per capire le questioni del tempo. Un tempo travagliato su tutti i fronti. Don Vincenzo dovette fare delle scelte per cercare le fonti dove attingere per il suo aggiornamento. Il primo cenacolo fu la canonica del fratello don Giuseppe a Pizzighettone, dove si riunivano alcuni sacerdoti per discutere dei temi scottanti del momento, in seguito il parroco di Buzzoletto don Corbari, giornalista acuto,
quindi le riviste dei Gesuiti piuttosto che la stampa locale che era apertamente schierata ed infine alcuni saggi venuti da oltralpe che egli leggeva e riassumeva. Tra i suoi scritti si trova una sintesi sul Teatro moderno, argomento non finalizzato ai suoi uditori ordinari, ma sicuramente era uno strumento per non rinchiudersi tra i manuali circolanti sulla pastorale, che pure conosceva e che gli erano familiari. Un confratello riferì che per le sue doti di intelligenza poteva concorrere a parrocchie che gli avrebbero dato lustro e gli avrebbero consentito di mettere a frutto il suo ingegno, ma non lo fece. Questo, però, è un altro tema. Nonostante fosse un parroco di campagna, non era un campagnolo.