Tra intimismo e attivismo c’è di mezzo l’Amore (Dilexit nos – 7)
Lo spirito di oblazione, così familiare alla spiritualità del Sacro Cuore di Gesù, è avere detto di sì e rimanere nel sì, rimanere consegnati in tutte le situazioni della vita. La vita consacrata è segno di questo nella chiesa e nel mondo, segno dell’assoluto di Dio, della realtà di Dio, dell’oggettività di un incontro che basta da solo a giustificare una vita, che è sentito come risposta a tutto ciò che potresti cercare, e non hai più bisogno di altro. «La richiesta di Gesù è l’amore. Quando il cuore credente lo scopre, la risposta che scaturisce spontaneamente non è un’onerosa ricerca di sacrifici o il mero adempimento di un pesante dovere,
ma è una questione d’amore» (DN 166).
Occorre però vigilare perché questa impostazione di radicale interiorità non degeneri in una spiritualità intimistica, non sufficientemente attenta alle attese del mondo e alle esigenze concrete della missione. È il rischio opposto rispetto all’attivismo, cioè un tipo di spiritualità che se ne lava le mani delle responsabilità che comportano la fatica, il dare la vita, il pagare di persona. «La proposta cristiana è attraente quando può essere vissuta e manifestata integralmente: non come semplice rifugio in sentimenti religiosi o in riti sfarzosi. Che culto sarebbe per Cristo se ci accontentassimo di un rapporto individuale senza interesse per aiutare gli altri? Siamo onesti e leggiamo la Parola di Dio nella sua interezza» (DN 205). Occorre una vigilanza anche culturale per non ridurre la spiritualità alla sua componente solo interiore. Cristo Gesù e la sua causa fanno tutt’uno. «La migliore risposta all’amore del suo Cuore è l’amore per i fratelli; non c’è gesto più grande». Dimenticare questo farebbe cadere tutto il resto in un intimismo sterile. «La parola di Dio lo dice con totale chiarezza:
“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
“Tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Gal 5,14).
“Sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte» (1 Gv 3,14).
“Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4,20)» (DN 167).
Senza la dimensione della missione la nostra vita non avrebbe alcun senso, perché la presenza di chiunque nella Chiesa che non abbia significato per gli altri non ha significato neanche in se stessa.
Le due cose – incontro personale con Cristo e missione – vanno tenute insieme. «L’amore per i fratelli non si fabbrica, non è il risultato di un nostro sforzo naturale, ma richiede una trasformazione del nostro cuore egoista. L’invito di San Paolo non era: “Sforzatevi di fare opere buone”. Il suo invito era precisamente: “Abbiate tra voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”» (DN 168). Dobbiamo ritrovare noi per primi il Padre – cioè l’amore – per poterne essere in qualche modo rivelazione e trasparenza. Anche papa Leone ce lo ricorda: «Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù. In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. E noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità” (Dall’omelia della celebrazione per l’inizio del ministero petrino).